La comparsa di corpi macchina dotati di soffietto pieghevole risale alle esigenze pionieristiche di fine Ottocento, quando la fotografia su lastra rigida imponeva ingombranti camera da banco. Le prime sperimentazioni puntarono a unire la portabilità con la qualità ottica: nel 1883, alcuni artigiani londinesi testarono corpi in legno dotati di un soffietto in tela che permetteva di ridurre notevolmente il volume in trasporto. Il principio era semplice ma efficace: il soffietto, pieghevole e collassabile, manteneva un percorso ottico definito tra l’obiettivo ed il piano focale, garantendo dagherrotipi e lastre al collodio una messa a fuoco precisa.
Uno dei primissimi brevetti noti fu depositato nel 1886 da Charles Urban & Co., che applicarono un meccanismo a binari telescopici in ottone unendo due montanti in legno di noce con guide integrate. Il soffietto, realizzato in tela cerata e rinforzato con stecche metalliche sottili, garantiva tenuta alla luce pur consentendo apertura e chiusura rapide. Questi prototipi, pur efficaci, soffrivano di problemi di usura: la tela tendeva a screpolarsi e a perdere elasticità, compromettendo l’ermeticità. Nel decennio successivo, molte officine sperimentarono materiali innovativi come la vulcanite e il caucciù vulcanizzato, migliorando la resistenza agli agenti atmosferici e la durata nel tempo.
Parallelamente al materiale del soffietto, si svilupparono differenti meccanismi di estensione. Alcuni costruttori privilegiarono i tubi concentrici in ottone nichelato, che scorrevano all’interno di guide incassate nel corpo macchina. Altri optarono per un sistema a carrello scorrevole, dove un telaio anteriore, collegato al soffietto, si muoveva su guide a cremagliera, offrendo un rapido aggancio sia per l’obiettivo che per i portapiastre posteriori. Questi design erano frutto di un continuo bilanciamento fra precisione meccanica, facilità di manutenzione e semplicità d’uso.
Dressler & Co. di Berlino, attivi dal 1890, introdussero un profilo di soffietto a base quadra, con spigoli rinforzati da lamelle in legno curva, ottenendo una maggiore rigidezza e un percorso ottico più stabile. Questo accorgimento permise di montare obiettivi a lunga focale, fino a 300 mm, usati per ritratti e studi naturalistici. In quegli anni, la combinazione di soffietto robusto e guide metalliche create con tolleranze di pochi centesimi di millimetro faceva la differenza tra un’immagine nitida e una sfuocata.
In Francia, verso il 1895, la Maison Gaumont brevettò un soffietto in tela cerata trattata con gommalacca, che resisteva in modo sorprendente all’umidità. Questo soffietto fu adottato in numerosi apparecchi da campo destinati alla fotografia di viaggio: esploratori e geologi apprezzarono la capacità di spostare la fotocamera all’interno di ambienti polverosi senza compromettere la tenuta alla luce. Le lastre fotografiche, solitamente da 9×12 cm o 13×18 cm, venivano sostituite con facilità grazie alle cassette posteriori intercambiabili, altra innovazione strettamente collegata allo sviluppo del soffietto pieghevole.
Al principio del XX secolo, ciò che era nato come soluzione artigianale evolse in un design standard: il format standard 4¼×5¼ pollici divenne il più diffuso nelle fotocamere a soffietto pieghevoli. Le guide posteriori e anteriori furono normalizzate su fori da 1/4 ”-20 UNC per il montaggio su cavalletti, mentre gli obiettivi utilizzavano attacchi a vite tipo DKL o compendium. Il soffietto, pur mantenendo la forma a fisarmonica, subì affinamenti: l’incrocio delle pieghe fu ridotto al minimo per eliminare punti di possibile perdita di luce, e i bordi furono cuciti con filo in nylon rivestito per conferire maggiore durabilità.
Questi progressi tecnici trasformarono le fotocamere a soffietto pieghevoli in strumenti diffusi sia tra i professionisti sia tra i dilettanti evoluti. La combinazione di rigidità strutturale, precisione di messa a fuoco e volumi contenuti al momento del trasporto rese possibili indagini etnografiche, reportage di guerra e paesaggi naturali con un’attrezzatura compatta ma estremamente flessibile. Il soffietto pieghevole, nata risposta alle limitazioni delle lastre rigide, divenne così l’emblema di un’era che coniugava artigianato e ingegneria meccanica di precisione.
Sviluppi tecnici e meccanismi di precisione nelle fotocamere a soffietto
L’evoluzione tecnica delle fotocamere a soffietto pieghevoli passò attraverso un crescendo di innovazioni meccaniche, volte a migliorare la stabilità del piano focale, la velocità di messa a fuoco e la resistenza all’usura. Già negli anni Venti e Trenta, i principali costruttori europei concentrarono gli sforzi sull’ottimizzazione delle guide e dei binari telescopici, introducendo movimenti micrometrici che consentivano spostamenti di pochi micron per regolare la profondità di campo in studi di ritratto o fotografia scientifica.
Le guide a vite senza fine, montate su barenature in ottone brunito, permisero di ottenere movimenti estremamente precisi. Un singolo giro di manopola spostava il portottica di 0,5 mm, consentendo di comporre dettagli chirurgici, come la rifinitura di pelli e tessuti in primo piano. I costruttori tedeschi, in particolare Linhof e WeitzBerlin, svilupparono guide a doppia cremagliera, con ingranaggi parzialmente incassati per ridurre la flessione sotto carichi elevati.
Parallelamente, l’introduzione di soffietti a tenuta stagna, realizzati con materiali compositi moderni quali la gomma sintetica e l’epidermide trattata, prevenne la diffusione di luce parassita e l’ingresso di polvere. Questi materiali, pur più costosi, estendevano la vita del soffietto fino a 20‑30 anni di utilizzo intensivo. Alcuni modelli di fascia alta adottarono sistemi di sostituzione rapida del soffietto, con perni e leve che permettevano di rimuovere il pannello tessile senza dissaldare le stecche, agevolando la manutenzione in campo.
Sul fronte otturatori, l’adozione di meccanismi a lamelle metalliche (Prontor, Compur), montati su portottica separabili, permisero di ottenere tempi di posa rapidi fino a 1/500 s e di variare fermi di posa da bulb a tempi prefissati. L’integrazione tra portottica e soffietto necessitava di una particolare calibratura: il soffietto doveva essere tenuto teso in modo uniforme per evitare flessioni che avrebbero alterato i tempi di esposizione. Questo portò allo sviluppo di tensionatori regolabili, piccoli guide in ottone che, applicati sul telaio, permettevano di modificare la tensione del soffietto in base all’umidità e alla temperatura.
L’innovazione più raffinata fu però l’introduzione di movimenti di decentramento e basculaggio su corpi macchina a soffietto pieghevoli di fascia alta. Costruttori come Sinar, Arca‑Swiss e Cambo realizzarono modelli con piani focali scorrevoli su guide rigide, consentendo al fotografo di gestire l’effetto Scheimpflug, ottenendo piani di messa a fuoco inclinati rispetto al soggetto. Questi movimenti, un tempo prerogativa delle plate camera da studio, trovarono finalmente spazio in corpi macchina portatili, grazie a guide rinforzate e soffietti di alta qualità in pelle impermeabilizzata.
I modelli destinati alla fotografia scientifica richiesero ulteriori perfezionamenti. Le fotocamere a soffietto pieghevoli progettate per il settore geologico e botanico integravano portafiltri girevoli sotto l’obiettivo, compatibili con filtri interferenziali di varie bande spettrali, per analisi multispettrali in loco. Altri apparati furono equipaggiati con obiettivi apocromatici e celle a immersione, grazie alle quali si ottenevano correzioni cromatiche senza distorsione per applicazioni di microfotografia e riprese su vetrini microscopici.
Nel decennio successivo, la diffusione dei materiali sintetici e dei processi di pressofusione permisero di ridurre i costi di produzione, rendendo accessibili movimenti avanzati anche alle fotocamere di fascia media. Soffietti in materiale polimerico antistrappo, guide in alluminio anodizzato e ingranaggi in ottone stampato entrarono a far parte della dotazione di base di diverse camere pieghevoli. Ciò permise l’impiego di questi apparecchi anche nel fotogiornalismo itinerante, dove la resistenza e la rapidità di utilizzo erano condizione essenziale.
Lo sviluppo tecnologico delle fotocamere a soffietto pieghevoli rappresenta, in sintesi, la perfetta fusione tra meccanica di precisione, scienza dei materiali e conoscenza ottica, capace di rispondere in modo flessibile alle molteplici esigenze di alta qualità d’immagine, portabilità e durabilità. Negli anni d’oro, ogni marca e ogni modello si distingueva per un diverso bilanciamento di questi fattori, offrendo soluzioni uniche che hanno segnato la storia della fotografia professionale.
L’apice della popolarità: modelli chiave
Tra gli anni Trenta e Sessanta, le fotocamere a soffietto pieghevoli raggiunsero un vero e proprio apice di popolarità. Modelli come la Graflex Speed Graphic, la Kodak Super Six-20, la Voigtländer Perkeo II e la Zeiss Ikon Nettar divennero strumenti iconici per professionisti e appassionati. La Speed Graphic, ad esempio, adottava un soffietto a fisarmonica in tela cerata, tubi telescopici a scorrimento su binari in acciaio inox e un otturatore Graflock montato sul portottica, offrendo tempi da 1 s a 1/1000 s e movimenti di decentramento limitati.
La Kodak Super Six-20, destinata a dilettanti evoluti, combinava un corpo in legno leggero con un soffietto pieghevole sostituibile e un obiettivo Ektar f/6,3, noto per la sua nitidezza e resa cromatica. La custodia di cuoio originale, imbottita internamente, proteggeva il soffietto dallo sporco e dall’umidità, mentre la calca dei fotogrammi su un rullino 620 semplificava la gestione dei fotogrammi.
Volgendo lo sguardo al continente europeo, la Voigtländer Perkeo II rappresentava un equilibrio tra portabilità estremizzata e qualità d’immagine. Il suo soffietto corto e il corpo in lamiera stampata riducevano l’ingombro, pur mantenendo un piano focale rigido e un movimento di messa a fuoco a vite con precisione di 0,1 mm. Il mirino galileiano era integrato nel corpo e permetteva inquadrature rapide, funzionali ai reportage di viaggi.
Il modello Nettar di Zeiss Ikon, dal canto suo, divenne famoso per la sua versatilità: soffietto in gomma vulcanizzata, meccanismo di piega laterale e otturatore Compur‑Rapid con tempi fino a 1/500 s. La montatura in lamiera leggera e i meccanismi di chiusura rapida ne agevolavano l’uso in condizioni di luce intensa, tipiche dei reportage di guerra e documentari sociali. Molte di queste macchine vennero impiegate dai fotografi militari durante la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla robustezza del soffietto e alla rapidità di settaggio.
Un caso di studio emblematico è rappresentato dalla Plaubel Makina, una fotocamera medio formato a soffietto pieghevole lanciata nel 1934. Montava un obiettivo Nikkor 80 mm f/2,7 su un soffietto corto che assicurava un corpo compatto. I movimenti di basculaggio e decentramento, pur limitati, permettevano la correzione prospettica in architettura e studio. La qualità delle lenti Nikkor e l’eccellente tenuta alla luce del soffietto in pelle naturale resero la Makina uno standard per la fotografia di moda e ritratto negli anni Quaranta e Cinquanta.
Il successo di queste fotocamere è legato non solo alla qualità ottica e meccanica, ma anche a una catena di distribuzione capillare: i concessionari offrivano corsi di manutenzione del soffietto, kit di pulizia e schermini di ricambio. Questo ecosistema di accessori e servizi permise una diffusione rapida tra professionisti, che potevano contare su un supporto tecnico locale, indispensabile per mantenere in perfetta efficienza i soffietti pieghevoli nelle condizioni più gravose.
I grandi fotografi dell’epoca, da Ansel Adams a Henri Cartier‑Bresson, pur noti soprattutto per l’uso di reflex e telemetri, impiegarono le pieghevoli per specifiche applicazioni: panorami montani, reportage in contesti remoti e macrofotografia. Le ottiche di alta qualità e le possibilità di montare filtri specializzati resero il soffietto pieghevole uno strumento insostituibile, capace di unire agilità di trasporto e altissima resa d’immagine.
Il loro Declino
Con la diffusione delle fotocamere reflex 35 mm e delle SLR digitali, il mercato delle fotocamere a soffietto pieghevoli subì un progressivo declino a partire dagli anni Settanta. La facilità d’uso, la rapidità di messa a fuoco e i formati ridotti delle 35 mm resero il soffietto pieghevole un oggetto di nicchia. Molti costruttori cessarono la produzione, mentre altri spostarono la propria gamma verso soluzioni medio formato a sistema modulare, come le Hasselblad e le Mamiya RB/RZ, che integravano elementi pieghevoli solo in alcuni modelli specifici.
Malgrado ciò, la persistenza del soffietto pieghevole si rileva ancora in ambiti specializzati. La fotografia botanica e quella macro, ad esempio, godono delle capacità di messa a fuoco ravvicinata che un soffietto lungo può garantire, con rapporti di ingrandimento fino a 1:1 senza ausili di tubo di prolunga. Alcuni artigiani moderni realizzano kit di conversione per reflex digitali medio formato, montando soffietti bellows intercambiabili che permettono di sfruttare ottiche legacy con sistemi di misurazione esposimetrica integrata.
Nel campo del large format digital back, alcuni sistemi combinano fotocamere a soffietto pieghevoli con schermi digitali di grande formato, consentendo scatti con risoluzioni superiori ai 100 MP. Questi apparati, costosi e voluminosi, trovano impiego in studi di architettura e heritage preservation, dove la resa del dettaglio e il controllo prospettico rimangono imprescindibili.
Anche la restauro e la conservazione fotografica mantengono vivo l’uso delle pieghevoli per la documentazione di opere d’arte e manufatti archeologici. Il soffietto è preferito per la sua capacità di montare ottiche a decentramento e basculaggio, correggendo prospettive e piani di fuoco su oggetti tridimensionali, operazione critica per la fotogrammetria e la documentazione tecnica.
Un ultimo fronte di utilizzo riguarda il collezionismo e la didattica: corsi accademici di storia della fotografia conservano modelli originali per mostrare le tecniche di posa storiche, l’uso dei materiali e la manutenzione meccanica del soffietto. Riparatori specializzati offrono servizi di rifacimento di soffietti storici con tessuti moderni, rispettando parametri di spessore e tenuta alla luce, garantendo la sopravvivenza di queste macchine come strumenti didattici e opere d’arte meccanica.
Il declino commerciale non ha dunque spazzato via la tecnologia del soffietto pieghevole: essa è sopravvissuta nelle nicchie più esigenti, dove la combinazione di qualità ottica, precisione meccanica e flessibilità prospettica non trova pari nelle fotocamere moderne. Questa persistenza testimonia la validità di un’architettura intelligente, capace ancora oggi, in un mondo digitale, di offrire soluzioni uniche per la fotografia artistica, scientifica e di conservazione.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.