La storia della Lomografia muove i primi passi all’interno degli stabilimenti della Leningrad Optical Mechanical Association (LOMO), un colosso ottico nato negli anni Trenta dell’URSS per soddisfare le esigenze di precisione dell’industria bellica. Qui, centinaia di ingegneri e ottici lavoravano a specchi di telescriventi, cannocchiali di osservazione e telemetri con tolleranze di fabbricazione inferiori ai 5 micron. Le stesse linee di vetro crown e flint venivano impiegate sia per sistemi di puntamento militare sia per produrre obiettivi “civil” destinati a proiettori cinematografici e apparecchi di sorveglianza.
Nel 1984, mentre la Guerra Fredda entrava nella sua fase finale, il reparto sperimentale di LOMO mise a punto un prototipo a bassissimo costo: la LC‑A (Lomo Compact Automat). Dietro alla semplicità del corpo macchina si celava una serie di soluzioni ingegneristiche tipiche dei migliori obiettivi spia dell’epoca:
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Schemi ottici a tre elementi: un Triplet Cooke, costituito da un gruppo anteriore positivo, uno negativo centrale e uno positivo posteriore, realizzato in vetro crown privo di vetri ED (extra‑low dispersion).
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Focale 32 mm f/2,8: un’angolazione di campo di circa 62°, che inquadrava scene urbane e paesaggi con un lieve distorsione a barilotto, accentuata dalla mancanza di correzioni cromatiche.
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Diaframmi da f/2,8 a f/16: regolati da un anello esterno, con click netti ogni stop, e controllati da un microchip che calcolava il tempo di posa in base alla lettura della fotocellula CdS posizionata immediatamente dopo il pentaprisma.
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Otturatore programmato: tempi da 1/500 s a 1/60 s, gestiti tramite un sistema meccanico‑elettronico, con posa “B” fino a 30 s e un ritardo di scatto di circa 10 s per selfie e autoportraits.
La LC‑A venne concepita per un utilizzo interno, senza ambizioni commerciali all’estero. I pochi esemplari uscivano dai magazzini militari e venivano venduti nei negozi statali a un prezzo simbolico, con carta di garanzia numerata e libretto di istruzioni in cirillico. La costruzione robusta—corpo in metallo pressofuso e piastra inferiore in acciaio rinforzato—consentiva di resistere a temperature da −20 °C fino a +50 °C, una caratteristica utile in Siberia ma che si sarebbe rivelata apprezzata dai futuri lomografi europei.
Il “difetto” di fabbrica, ovvero l’assenza di trattamento antiriflesso sulle lenti, generava flare multicolore, bagliori diffusi e rifrazioni incontrollate che, anziché essere corretti, vennero poi invocati come elementi espressivi. La curvatura di campo accentuava la vignettatura, portando fino a 3–4 stop di caduta di luce verso i bordi, mentre la distorsione prospettica conferiva alle linee architettoniche un morbido “effetto fisheye” leggero. Tutto questo rimase sconosciuto finché, tra il 1988 e il 1991, i primi pochi esemplari non oltrepassarono i confini del Patto di Varsavia, viaggiando in scatole di surplus militare destinate a collezionisti, sovietici in pensione e piccoli mercanti di Praga, Varsavia e Budapest.
Il fenomeno Lomography e diffusione globale
Fu nel 1991 che tre studenti universitari viennesi—Wolfgang Strahammer, Matthias Fiegl e Christopher Rümenapp—incontrarono quasi per caso una LC‑A a Praga. Incuriositi dall’involucro modesto e dai risultati inconsueti, decisero di sfruttare quel “difetto analogico” per scatenare un movimento culturale. Nacque così il primo Lomography Club, un gruppo informale che si radunava in appartamenti affollati di rullini, per provare:
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ISO elevati: dal classico ISO 800 agli estremi 1600, usando pellicole C41 su cui incrociare E6 o viceversa per ottenere shift cromatici intensi;
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Scatti impulsivi: “scattare prima, pensare dopo” diventò il motto, con l’obiettivo di catturare l’istante senza controllo di esposizione, in piena fede verso la casualità;
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Scambi di rullini: il “rullino mail art” consentiva di spedire 36 pose in tutto il mondo, ricevendone altrettante decorate da amici lomografi, dando vita a un vero e proprio dialogo visivo transnazionale.
Nel 1996 la crescita dell’adesione portò alla costituzione della Lomographic Society International (LSI) a Vienna. Registrata come ONG culturale, la LSI consolidò il movimento in tre ambiti:
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Manuali e codici estetici: la traduzione in venti lingue di “Die zehn Gebote der Lomographie” e la distribuzione gratuita di un manuale illustrato con esempi tecnici per cross‑process, sviluppo in home‑lab e stampa lenticolare.
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Eventi globali: il Lomoday, ossia lo scatto simultaneo in più di 100 città, con upload live su server dedicati; la pubblicazione trimestrale del Lomo Magazine, una fanzine internazionale contenente interviste, recensioni di pellicole e tutorial di camera‑modding.
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Rete di ambasciatori: oltre 300 “Lomo Ambassadors” in 70 Paesi, responsabili dell’organizzazione di workshop, mostre e concorsi tematici (es. “Redscale Marathon”, “Sprocket Rocket Urban Run”).
Il successo fu travolgente: dal 1998, con la prima edizione del Lomography Festival a Vienna, la LSI vide salire a decine di migliaia i membri attivi. Registri interni documentano oltre 2 milioni di rullini inviati e 500 cataloghi di Lomographs stampati, ciascuno con media di 300 immagini selezionate per sperimentazione cromatica e compositiva.
Parallelamente, grazie alla licenza LOMO, si rilanciò la produzione industriale di fotocamere in Europa. Fabbriche baltiche riconvertirono le linee per produrre in volumi maggiori:
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LC‑A+ (2008): aggiunse autoscatto, sincronizzazione flash fino a 1/125 s, slitta ISO 518 e tempi lunghi estesi a 2 s;
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Diana F+ (2006): medium format dual‑format (135 mm e 120 mm), obiettivo plasticato tripletto f/8 con montaggio bayonet, scatto B e T;
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Holga 120 GCFN (2010): medio formato 6×4,5 cm, soffietto in PVC, singola apertura f/8, filtro IR;
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Sprocket Rocket (2011): rullino 35 mm full frame, esposizione fino ai fori di trascinamento, carrello di ingranaggio per scatti consecutivi;
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La Sardina (2008): 22 mm f/8 grandangolare, custodia in metallo, rapido avvolgimento a leva, contafotogrammi meccanico;
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Belair X 6–12 (2014): medio formato 6×12 cm, otturatore centrale elettronico, moduli per intervallometro, multi‑esposizione, Wi‑Fi per controllo remoto via app.
Estetica lomografica, sperimentazione analogica e ibridazione digitale
Al di là del corpo macchina, è stata l’estetica delle imperfezioni a trasformare la Lomografia in un vero e proprio movimento culturale. Gli elementi distintivi:
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Vignettatura estrema: caduta di luce fino a 3‑4 stop ai bordi, grazie alla curvatura di campo non corretta e all’assenza di multicoating.
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Flare e light leaks: riflessi multicolore generati dalle superfici non rivestite, e infiltrazioni di luce tra corpo e otturatore, sfruttate come pennellate di luce dinamiche.
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Distorsione e aberrazioni cromatiche: frange viola e verdi ai bordi, coma laterale e distorsione a barilotto accentuata, considerate “difetti” da altri marchi ma qui elevate a forma espressiva.
La sperimentazione analogica è codificata nei workshop LSI:
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Cross‑processing: sviluppo E6 in chimica C41 o viceversa, modificando le curve di risposta e ottenendo sfumature irreali;
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Redscale: caricamento del film al contrario, scattando attraverso il dorso rosso della pellicola per un effetto cupo, rosso‑marrone e saturato;
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Multi‑exposure: uso della leva di riavvolgimento per sovraesporre i fotogrammi, generando sovrapposizioni artistiche.
Nell’era digitale, la LSI ha lanciato LomoChrome Presets, plugin per Photoshop che ricostruiscono le curve tonali delle pellicole Lomographic Color Negative, e app come Analog Lab e LomoAmigo, capaci di simulare vignettature, flare e aberrazioni con filtri su foto scattate in digitale. Nonostante questo, il cuore del movimento rimane l’analogico: scanner a tamburo fino a 8000 dpi, profilazione ICC personalizzata per ogni tipo di pellicola, sviluppo in laboratorio home‑made per mantenere il controllo sulla temperatura (24 ± 1 °C) e sui tempi di sviluppo (± 10 %).
Un fenomeno in divenire
Oggi la Lomografia è sinonimo di libertà espressiva. Eventi come il Lomoday, con centinaia di migliaia di scatti scambiati simultaneamente, e proiezioni collettive in piazze e musei, dimostrano che l’esperienza analogica è più viva che mai. Artisti contemporanei integrano scatti LC‑A in installazioni interattive VR, utilizzando fotogrammi lomografici come texture su modelli 3D, o realizzano video Super 8 con cinepresa Holga modificata, fondendo film a 24 fps e audio sperimentale.
La Lomografia ha infranto il mito della perfezione: ha trasformato ogni aberrazione in opportunità creativa, ogni light leak in racconto di luce, ogni fotogramma in testimonianza emozionale. Più di una moda, è un vero e proprio manifesto che ricorda a fotografi e spettatori come l’imperfezione, il caso e l’urgenza dello scatto siano elementi insostituibili per restituire la vastità e la complessità del mondo.
Aggiornato Luglio 2025

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.