Nel contesto della storia della fotografia italiana, il ruolo dei fotografi è stato determinante non solo per la documentazione visiva del Paese, ma anche per l’elaborazione di un linguaggio espressivo autonomo, capace di dialogare con le arti, la letteratura, la politica e l’evoluzione sociale. Dall’Ottocento pionieristico fino alla contemporaneità, la fotografia in Italia ha visto affermarsi personalità di spicco che hanno definito stili, sperimentato tecniche, fondato istituzioni e lasciato un’eredità iconografica di straordinario valore. Questo articolo ripercorre, attraverso una scansione cronologica, i profili dei principali fotografi italiani di tutti i tempi, soffermandosi sulle loro scelte estetiche, sull’impatto culturale e sulle trasformazioni tecniche che hanno accompagnato le loro carriere. L’obiettivo è offrire una panoramica organica, approfondita e rigorosa del contributo italiano alla fotografia mondiale, considerando non solo le personalità più celebri, ma anche quelle meno note che hanno inciso in modo significativo nel panorama visivo e intellettuale del Paese.
Ottocento
Filadelfo Felice Beato (n. 1832 – m. 1909) è considerato uno dei primi fotografi occidentali ad avventurarsi nell’Asia orientale e uno dei pionieri della fotografia di guerra. Nato probabilmente a Venezia, attivo nella seconda metà dell’Ottocento, Beato ha realizzato celebri reportage visivi dalla guerra d’indipendenza Indiana (1857) fino alla seconda guerra dell’Oppio in Cina, oltre a serie di vedute e ritratti in Giappone. Affiancò ai formati al calotipo ed albumina le tecniche di stampa e coloritura artigianali – tanto da fondare a Yokohama (1863) uno dei primi studi fotografici dell’epoca. Il suo impatto storico è legato alla diffusione di paesaggi e ritratti esotici che ampliarono lo sguardo europeo sul mondo, influenzando anche i fotografi giapponesi. Opera internazionale, sebbene il suo archivio non riporti premi formali, è inserito in grandi collezioni museali.
Fratelli Alinari (Leopoldo, Giuseppe e Romualdo, fondatori nel 1852) sono stati tra i protagonisti dell’arte fotografica in Italia. La ditta di famiglia, nata a Firenze, è stata per lungo tempo il più antico archivio fotografico al mondo. I fratelli Alinari, inizialmente attivi nel documentare opere d’arte (Musei Vaticani, Louvre, ecc. come evidenziato dalla loro ammissione al servizio museale), estenderanno l’attività ai reportage di paesaggio e monumenti italiani. Il catalogo fu ampliato sotto Vittorio Alinari (1859–1932), figlio di Leopoldo, che produsse volumi illustrati dedicati alla Divina Commedia e alla geografia d’arte. L’impatto culturale degli Alinari è stato enorme: fino al Novecento le loro immagini hanno illustrato l’editoria e contribuito alla diffusione della cultura visiva italiana. Non si legano a un’unica “specializzazione”, ma i fratelli Alinari divennero maestri della fotografia artistica e documentaria d’arte. Sebbene non siano espressamente menzionati premi (l’azienda era già un’istituzione fotografica), il loro riconoscimento è implicito nella reputazione mondiale come pionieri di studi fotografici professionali.
Luigi Sacchi (n. 1805 – m. 1861) è un altro pioniere italiano dell’Ottocento. Pittore e incisore di formazione, Sacchi divenne fotografo di architettura a partire dal 1845 a Milano. Con il fratello, aprì studi fotografici e pubblicò nel 1859 la rivista L’Artista. Ha realizzato alcune delle prime fotografie di edifici milanesi, testimoniando il passaggio della città al medioevo architettonico alla modernità industriale. La sua tecnica principale fu il calotipo, in bianco e nero. L’influenza di Sacchi fu quella di aprire la strada alla documentazione fotografica urbana e d’arte in Italia, anche se non ci sono noti riconoscimenti o premi del tempo a lui intitolati.
Carlo Naya (n. 1816 – m. 1882) fu un fotografo italiano famoso per le sue vedute di Venezia e altri paesaggi norditaliani. Iniziò la carriera come commerciante ottico e dal 1857 viaggiò per Costantinopoli e poi si stabilì definitivamente a Venezia. Qui aprì uno studio fotografico insieme a Carlo Ponti, pubblicando e coeditando album di immagini architettoniche e di monumenti (tra cui le fotografie del restauro della Cappella degli Scrovegni nel 1867). Le sue tecniche spaziarono dalla stampa all’albumina alle più avanzate emulsioni del tempo. Naya si distinse storicamente come documentatore della bellezza artistica italiana dell’Ottocento; i suoi scatti di Venezia, sebbene non premiati in senso moderno, rimangono fonte primaria di conoscenza storica della città lagunare.
Primo Novecento
Il primo Novecento vide in Italia l’emergere di correnti artistiche come il pittorialismo e il futurismo in fotografia. Tra i fotografi di rilievo spicca Anton Giulio Bragaglia (n. 1890 – m. 1969), uno dei padri del Futurismo fotografico. Bragaglia fu intellettuale di spicco del movimento e nel 1911 pubblicò l’«Saggio sulla Fotodinamica Futurista», estendendo i principi di Marinetti alla fotografia. Nei suoi lavori sperimentò scatti a più esposizioni sovrapposte per cogliere il “dynamism” interiore del soggetto, sostituendo la “realtà oggettiva” con una proiezione di movimento puro. La sua tecnica si basava su esposizioni multiple a soggetto mosso, creando immagini sfocate e ritmiche. Bragaglia divenne celebre a livello internazionale come innovatore del linguaggio fotografico, anche se premi formali non gli furono attribuiti; il suo impatto è culturale, in quanto aprì la strada all’arte fotografica sperimentale italiana.
Tina Modotti (nata Assunta Modotti Mondini, n. 1896 – m. 1942) è un’altra figura significativa, benché operò principalmente all’estero. Italiana di nascita (Udine), visse e lavorò negli Stati Uniti e soprattutto in Messico, dove divenne fotografa della rivoluzione e collaboratrice di artisti come Diego Rivera. Modotti si formò come fotografa al fianco di Edward Weston, passando da ritratti artistici a stille di natura morta e scene popolari. In Messico divenne “fotografa di punta” del nascente movimento muralista, documentando gli affreschi di Orozco e Rivera. Le sue tecniche comprendevano il grande formato in bianco e nero, e i suoi scatti – come l’iconica “Mani” – sono studi sulle forme e sulle texture. L’impatto storico di Modotti sta nell’aver combinato impegno politico e composizione artistica, influenzando entrambi i campi. Ha ricevuto riconoscimenti postumi internazionali, ma durante la sua vita fu più nota come attivista che come premiata fotografa.
Secondo dopoguerra
Dopo la Seconda Guerra mondiale la fotografia italiana esplose in vari generi documentaristici e artistici. Ugo Mulas (n. 1928 – m. 1973) è un gigante di questa epoca. Trasferitosi a Milano nel 1948, rimase coinvolto nella scena artistica milanese e ben presto divenne il fotografo ufficiale della Biennale di Venezia dal 1954. In questo ruolo documentò intensamente la scena artistica italiana e newyorkese degli anni ’60, realizzando ritratti di artisti e reportage su mostre. La sua tecnica era il bianco e nero ad alto contrasto, con attenzione sia alla cronaca sia all’introspezione. Le “Verifiche” (fine anni ’60) sono il suo progetto più concettuale, dedicato all’autoriflessione sulla fotografia stessa. In assenza di premi formali significativi, il suo impatto culturale è testimoniato dal grande successo postumo del volume La Fotografia (1973) e dalle retrospettive internazionali che ne celebrano l’opera.
Mario Giacomelli (n. 1925 – m. 2000) è ricordato come uno dei più importanti fotografi italiani del XX secolo. Tornato dalla guerra, iniziò a fotografare negli anni ’50 in stile neorealista e umanista, concentrandosi su paesaggi contadini e ritratti di persone comuni. La sua caratteristica era l’uso di pellicola “sporca” e stampe ad alto contrasto, ottenendo composizioni grafiche potenti con neri profondi e bianchi abbaglianti. Tra i suoi progetti più noti vi sono la serie Scanno (dove cattura volti di anziane nella regione Marche) e Io non ho mani che mi accarezzino il volto (ispirato a una poesia sul dolore). Lo stile espressivo di Giacomelli, vicino al neorealismo cinematografico e all’espressionismo fotografico, gli conferì fama internazionale. Pur non essendo orientato a concorsi, vinse nel 1963 il Premio Nadar a Parigi ed è celebrato dalla critica come maestro della fotografia poetica.
Gianni Berengo Gardin (n. 1930) è considerato il maggiore fotoreporter italiano vivente. Nato a Santa Margherita Ligure, iniziò a fare fotografie nel 1954. Dopo un periodo di studio a Roma e Parigi, nel 1965 si stabilì a Milano e divenne professionista, specializzandosi in reportage documentari e immagini sociali. Ha pubblicato oltre 250 libri fotografici (tra i più noti Morire di classe sul disagio mentale, Dentro le case, Toscana, Francia) e ha lavorato con riviste e agenzie internazionali. Lo stile di Berengo Gardin è soprattutto il bianco e nero realistico, che ha saputo ritrarre l’Italia dagli anni ’60 ai giorni nostri – dagli ambienti di lavoro ai volti dei fortunati e meno fortunati – con empatia. Tra i riconoscimenti vanta numerosi premi fotografici (ad esempio i Premi Oscar del Fotografia e il Leica Award) e nel 2008 ha ricevuto il Lifetime Achievement Award del Lucie Award. Il suo impatto storico risiede nel documentare in modo autentico e umano le trasformazioni sociali dell’Italia contemporanea.
Gabriele Basilico (n. 1944 – m. 2013) fu un fotografo di architettura e paesaggio urbano di fama mondiale. Milanese di nascita, laureato in architettura, iniziò nel 1970 come ritrattista e reportage, ma ben presto la sua formazione lo portò a misurare lo spazio urbano. Divenne famoso nel 1982 con Milano. Ritratti di fabbriche, un reportage industriale in bianco e nero che catturava i volumi e le prospettive delle fabbriche in disuso. La sua poetica era legata all’idea di “misura” e visione razionale: utilizzò spesso fotocamere di grande formato con lunghe esposizioni, privilegiando il bianco e nero e il punto di ripresa frontale. Tra le opere più note ricordiamo i cicli su Torino Officine Grandi Motori, Italia & France Vedute 1978–85, e il progetto su Beirut post-guerra. Basilico ebbe grande impatto culturale, elevando la fotografia urbana a linguaggio artistico; vinse premi importanti come l’Osella d’Oro alla Biennale di Venezia 1996 e il premio INU (Istituto Nazionale Urbanistica) per la documentazione dello spazio urbano contemporaneo. Le sue immagini influenzano architetti e fotografi internazionali nella rappresentazione delle città.
Luigi Ghirri (n. 1943 – m. 1992) fu un innovatore italiano della fotografia concettuale e colorata. Nato a Scandiano (RE), iniziò a fotografare seriamente negli anni ’70. Fortemente ispirato dall’arte concettuale, creò serie iconiche come Atlante (1973) e Kodachrome (1978), in cui presentava paesaggi, dettagli e oggetti comuni con un occhio da antropologo della visione. Caratteristica delle sue immagini è l’uso del colore (allora insolito in Italia) per mostrare la quotidianità con distacco poetico: giardini, monumenti e scorci urbani privi di drammaticità, dai toni pastello. Ghirri ha definito la fotografia come linguaggio tra finzione e realtà. Il suo impatto storico è notevole: considerato “il più importante fotografo italiano della sua generazione”, ha ispirato intere generazioni di artisti visivi. Espose nelle più grandi sedi (dalla Biennale di Venezia al MAXXI) e vanta riconoscimenti come borse Guggenheim e premi internazionali.
Ferdinando Scianna (n. 1943) è uno dei più celebri fotogiornalisti italiani. Siciliano di Bagheria, iniziò come photojournalist negli anni ’60 e nel 1982 fu il primo italiano ammesso all’agenzia Magnum Photos. Nel corso della carriera ha spaziato tra reportage di costume (ad esempio sui riti religiosi siciliani), ritratti (ha fotografato anche Pablo Picasso nel 1972) e moda (primo fotografo di moda di Cartier-Bresson). La sua specializzazione è la fotografia in bianco e nero, attenta sia all’elemento narrativo sia alla composizione. Scianna ha vinto premi prestigiosi, come il World Press Photo nel 1982, vari Leica Awards e premi di fotografia di reportage. Il suo contributo storico è quello di un racconto visivo dell’Italia (e in parte dell’Africa) degli anni ’70-’80: con eleganza documentaria e sensibilità letteraria, ha dato forma visiva a temi sociali e culturali, confermando la qualità del reportage italiano a livello internazionale.
Nino Migliori (n. 1926) è un altro grande maestro italiano, attivo dal dopoguerra ai giorni nostri. Bolognese, iniziò a fotografare nel 1948, sperimentando prima varie correnti (fotografia pura, neorealismo) poi trovando un linguaggio personale. Negli anni ’50 realizzò serie di stampo neorealista come Gente del Sud, Gente dell’Emilia, Gente del Delta, che raccontano la vita italiana del dopoguerra. Meno noto all’estero, Migliori è considerato pionere della fotografia concettuale in Italia: a partire dagli anni ’60 iniziò a manipolare chimicamente le immagini, usando retini fotografiche e macchie di colore, e a creare installazioni con le sue stampe. Ha anche adottato strumenti moderni (dai Polaroid agli strumenti digitali) per la ricerca visiva. Migliori è insignito del Premio Feltrinelli (Accademia dei Lincei) e di altri riconoscimenti italiani. Storicamente il suo valore è doppio: documentò in modo autentico la società del dopoguerra, ma poi trascesse in una sperimentazione concettuale, influenzando le generazioni successive di artisti della fotografia in Italia.
Contemporaneo
In epoca contemporanea (dagli anni Ottanta a oggi) la scena fotografica italiana è ricca di autori innovativi. Maurizio Galimberti (n. 1956) è noto per le sue opere basate su Polaroid istantanee. Nato a Como, divenne celebre come “il maggiore esponente italiano della fotografia istantanea”. Dal 1983 si dedica esclusivamente alle Polaroid, realizzando famosi ritratti-mosaico (ad esempio delle celebrità come Johnny Depp) composti da più scatti ravvicinati. Le sue tecniche includono lo scatto multiplo con fotocamere Polaroid, ottenendo composizioni vivaci e scomposte. Galimberti è stato ufficialmente riconosciuto (anche in qualità di Instant Artist per Fuji Italia) e le sue opere sono entrate in collezioni internazionali. Il suo impatto consiste nel portare una forma di arte fotografica “pop” di grande diffusione, combinando libertà creativa e tecnologia analogica.
Tra i fotografi contemporanei italiani va citato Paolo Pellegrin (n. 1964), membro Magnum dal 2005. Nato a Roma, Pellegrin è un fotogiornalista di fama mondiale noto per i suoi reportage di guerra e cronaca (Kosovo, Darfur, Medio Oriente) e per gli scatti documentari di impegno sociale. Le sue immagini (principalmente in bianco e nero) coniugano composizioni dinamiche a un forte contenuto emotivo. Ha vinto molteplici World Press Photo Awards e il Premio Robert Capa, confermandosi uno degli autori di reportage più premiati del XXI secolo. Il contributo storico di Pellegrin è nel continuare la tradizione italiana di reportage impegnato, utilizzando oggi tecniche sia analogiche sia digitali per narrare le crisi contemporanee con rigore e umanità.
Accanto a questi vanno ricordati altri italiani di rilievo internazionale: Letizia Battaglia (1935–2022), pioniera del fotogiornalismo di mafia a Palermo negli anni ’70; Oliviero Toscani (n. 1942 – 2025), celebre per le campagne pubblicitarie (ad es. Benetton) che hanno portato il nome di un fotografo italiano nel mondo; Franco Fontana (n. 1933), maestro del colore e delle geometrie nei paesaggi; Massimo Vitali (n. 1944), noto per i grandi formati fotografici che ritraggono assembramenti di spiagge e piazze; Giovanni Gastel (1955–2021), autore di ritratti di moda raffinati. Sebbene non sempre celebrati con premi istituzionali, questi autori hanno influenzato la fotografia globale con stili riconoscibili (reportage, ritratto, moda, documentario urbano) contribuendo a mantenere viva la tradizione fotografica italiana anche nell’era digitale.