Garry Winogrand nacque a New York il 14 gennaio 1928 in una famiglia ebrea immigrata dall’Europa orientale. La sua infanzia si svolse nel Bronx, un quartiere che, negli anni della Grande Depressione e successivamente del secondo conflitto mondiale, si presentava come un microcosmo multietnico ricco di contrasti sociali. Queste radici urbane avrebbero lasciato un segno indelebile sul suo sguardo fotografico, sempre rivolto alla vita quotidiana delle strade americane.
Inizialmente, Winogrand intraprese studi di pittura presso la City College di New York, ma ben presto, complice l’atmosfera culturale della città e l’influenza della fotografia documentaria, si orientò verso le arti visive legate all’immagine. Frequentò corsi di fotografia presso la Columbia University, dove ebbe come insegnanti figure come Alexey Brodovitch, noto art director di Harper’s Bazaar, che trasmise agli studenti l’importanza del dinamismo visivo e della composizione innovativa.
A partire dagli anni Cinquanta, Winogrand cominciò a lavorare come fotografo freelance, collaborando con riviste come Collier’s, Life e Sports Illustrated. Pur avvicinandosi al mondo del fotogiornalismo, il suo interesse si orientò progressivamente verso una pratica meno vincolata dalla narrazione editoriale e più incline a una personale interpretazione della realtà. Già in questa fase sperimentò con la Leica 35 mm, strumento che divenne parte integrante del suo linguaggio. La scelta del piccolo formato fu decisiva: gli consentiva di muoversi agilmente tra la folla e catturare frammenti istantanei della vita urbana, evitando la staticità delle macchine di grande formato che avevano dominato la fotografia documentaria precedente.
La sua formazione fu quindi il risultato di una contaminazione: da un lato l’eredità della straight photography e del fotogiornalismo classico, dall’altro l’influenza delle avanguardie grafiche e della street culture newyorkese. Questo mix generò un approccio in cui l’osservazione diretta, la rapidità del gesto e la costruzione di un ritmo visivo serrato divennero elementi imprescindibili del suo lavoro.
Winogrand morì il 19 marzo 1984 a Tijuana, in Messico, a soli 56 anni, lasciando incompiuti numerosi progetti. La sua morte prematura interruppe un percorso che aveva già rivoluzionato l’idea stessa di street photography, e che continuò a influenzare generazioni di fotografi successivi.
La fotografia di strada come linguaggio visivo
Winogrand è ricordato come uno dei protagonisti indiscussi della street photography americana del secondo dopoguerra, insieme a Robert Frank, Diane Arbus e Lee Friedlander. Ciò che lo distingueva era l’abilità di catturare la vitalità della strada con un’energia visiva che rompeva con la compostezza formale della fotografia documentaria precedente.
Il suo lavoro si sviluppò in un’epoca in cui la città americana, in particolare New York, stava vivendo un momento di straordinaria trasformazione: boom economico, crescita demografica, conflitti razziali, fermenti politici e l’inizio della società dei consumi di massa. Winogrand seppe tradurre tutto questo in immagini dense di movimento e spontaneità, dove l’elemento imprevisto, l’attimo fuggente e persino l’imperfezione tecnica diventavano parte integrante del linguaggio.
Dal punto di vista tecnico, Winogrand privilegiava la ripresa grandangolare, spesso con un 28 mm montato sulla Leica. Questa scelta ottica non era casuale: consentiva di ampliare il campo visivo e includere simultaneamente più soggetti, restituendo la complessità caotica dello spazio urbano. L’uso del grandangolo portava a leggere deformazioni prospettiche, che Winogrand non solo accettava ma sfruttava consapevolmente per generare tensione visiva e drammaticità.
Un altro tratto distintivo del suo metodo era la ripresa a distanza ravvicinata. Winogrand non osservava la scena da lontano, ma si immergeva fisicamente tra la folla, spesso scattando con la macchina all’altezza del petto o senza guardare nel mirino, affidandosi all’istinto e alla conoscenza del mezzo. Questo approccio produceva immagini dall’immediatezza sorprendente, con prospettive insolite e tagli improvvisi che comunicavano l’urgenza del momento.
La sua pratica si distaccava così dalla fotografia puramente descrittiva: Winogrand non cercava di raccontare una storia precisa o di trasmettere un messaggio politico esplicito, ma di restituire la densità dell’esperienza visiva della modernità. La strada diventava teatro di incontri casuali, gesti effimeri, espressioni fugaci, che nel suo lavoro assumevano un valore estetico e simbolico.
Negli anni Sessanta, Winogrand partecipò a mostre fondamentali come New Documents (1967, Museum of Modern Art di New York, curata da John Szarkowski), che consacrarono la sua posizione accanto a Diane Arbus e Lee Friedlander. L’esposizione segnò un punto di svolta nella definizione della fotografia contemporanea, sottolineando come il medium potesse non solo documentare ma anche interpretare la realtà sociale attraverso un filtro soggettivo e innovativo.
La fotografia di strada, con Winogrand, diventò dunque linguaggio visivo autonomo, capace di esplorare il rapporto tra individuo e collettività, tra spontaneità e costruzione estetica, tra realtà e rappresentazione.
Tecniche fotografiche e approccio estetico
L’approccio tecnico di Garry Winogrand era strettamente legato al suo modo di concepire la fotografia come esercizio di immersione nella realtà. La Leica a telemetro, leggera e silenziosa, era il suo strumento preferito, accompagnata dall’uso sistematico di pellicole 35 mm in bianco e nero. Prediligeva emulsioni ad alta sensibilità, che gli permettevano di lavorare con tempi rapidi e senza flash, sfruttando la luce naturale della strada.
Uno dei suoi tratti stilistici era la frequente inclinazione dell’inquadratura, con orizzonti storti e composizioni apparentemente sbilanciate. Lungi dall’essere errori, questi scarti formali erano funzionali a trasmettere la dinamicità e il disordine controllato del contesto urbano. La sua estetica non puntava alla perfezione formale, ma a una resa più aderente alla percezione immediata dell’esperienza visiva.
L’uso del grandangolo comportava anche una vicinanza fisica con i soggetti. Winogrand si muoveva in modo rapido e discreto, riuscendo a cogliere espressioni autentiche prima che le persone potessero posare o accorgersi della presenza della macchina fotografica. La sua filosofia era che la realtà, colta nell’istante in cui accade, è più potente di qualsiasi costruzione scenica.
Dal punto di vista tecnico, si distingueva anche per la gestione del contrasto tonale. Le sue stampe presentano spesso neri intensi e bianchi brillanti, con una gamma dinamica capace di enfatizzare la drammaticità della scena. Questa scelta deriva sia dalla pellicola che dalla stampa, spesso affidata a laboratori specializzati o, in alcuni casi, da lui stesso controllata.
Winogrand era anche noto per la sua abitudine di scattare in maniera compulsiva. Produzione eccessiva e ritmo incessante erano parte del suo metodo: alla sua morte furono ritrovati oltre 2500 rullini non sviluppati e circa 6500 non stampati, segno di un lavoro in perenne stato di accumulo. Questo atteggiamento ha suscitato numerose discussioni critiche: da un lato evidenziava la sua insaziabile sete di immagini, dall’altro poneva interrogativi sulla selezione autoriale e sull’intenzionalità.
Dal punto di vista estetico, Winogrand cercava di catturare la stranezza dell’ordinario. Le sue immagini ritraggono passanti, animali, eventi pubblici, scene apparentemente banali che, attraverso il suo sguardo, assumono un carattere enigmatico. La realtà quotidiana diventa terreno di indagine visiva, capace di generare ambiguità e interrogativi.
Il suo lavoro è spesso stato associato a un atteggiamento di ironia e distacco, ma anche di profonda attenzione alle trasformazioni della società americana. Non era un fotografo militante, ma le sue immagini offrono un ritratto implacabile del volto contraddittorio degli Stati Uniti nella seconda metà del Novecento.
Opere principali e pubblicazioni
Tra le opere più importanti di Winogrand si annoverano diversi volumi che hanno segnato la storia della fotografia contemporanea. Uno dei più celebri è “The Animals” (1969), un libro che raccoglie immagini scattate allo zoo del Bronx e al Central Park Zoo. Qui, la relazione tra uomini e animali viene osservata con sguardo ironico e straniante: i visitatori diventano essi stessi parte dello spettacolo, specchiando i propri comportamenti in quelli delle creature osservate.
Altro volume fondamentale è “Women are Beautiful” (1975), dedicato alla rappresentazione femminile nelle strade e negli spazi pubblici. L’opera, sebbene criticata da alcuni per il presunto sguardo maschile e voyeuristico, riflette la fascinazione di Winogrand per la vitalità delle donne americane negli anni delle lotte per i diritti civili e della trasformazione dei costumi. Il libro testimonia anche la capacità del fotografo di cogliere gesti spontanei e atmosfere sociali con acutezza visiva.
“Public Relations” (1977) costituisce un altro progetto di rilievo, nato dalla collaborazione con il Museum of Modern Art. In questo caso, Winogrand documenta eventi pubblici, manifestazioni, conferenze stampa e situazioni collettive, analizzando il ruolo dei media e la spettacolarizzazione della vita sociale. Le immagini mettono in evidenza il rapporto tra individuo e massa, tra rappresentazione e realtà.
Dopo la sua morte, il MoMA curò la grande retrospettiva “Figments from the Real World” (1988), accompagnata da un volume che raccoglieva una vasta selezione delle sue opere. Successivamente, altre pubblicazioni hanno cercato di fare ordine nel suo immenso archivio, tra cui “Garry Winogrand” (2013), catalogo della grande retrospettiva itinerante che ha rilanciato la sua figura a livello internazionale.
Le sue fotografie sono oggi custodite nelle principali collezioni museali, tra cui il Museum of Modern Art di New York, il San Francisco Museum of Modern Art e il Art Institute of Chicago, a testimonianza della centralità del suo contributo nella storia della fotografia del XX secolo.
Garry Winogrand e la società americana
L’opera di Winogrand non può essere compresa senza considerare il contesto storico e culturale in cui fu prodotta. Dagli anni Cinquanta agli Ottanta, gli Stati Uniti attraversarono trasformazioni radicali: la guerra fredda, i movimenti per i diritti civili, le lotte femministe, la guerra del Vietnam, lo sviluppo dei consumi di massa e l’emergere della cultura pop.
Winogrand non affrontò questi temi in maniera diretta o didascalica, ma li fece emergere attraverso il filtro della quotidianità. Le sue fotografie restituiscono un mosaico della vita americana, in cui le tensioni sociali, le contraddizioni politiche e le trasformazioni culturali si riflettono nei dettagli minimi della vita di strada.
La sua attenzione era rivolta soprattutto alla gestualità e alle interazioni sociali: un sorriso improvviso, uno sguardo di diffidenza, la postura di un corpo che tradisce disagio o entusiasmo. Attraverso questi frammenti, Winogrand costruiva un ritratto collettivo della società americana, che non si limitava a documentare ma sollevava interrogativi sulla natura stessa della modernità.
Un aspetto centrale del suo lavoro è l’ambiguità: molte delle sue immagini non offrono risposte ma pongono domande. Cosa sta accadendo nella scena? Qual è la relazione tra i soggetti ritratti? Questo senso di incertezza riflette la complessità del mondo contemporaneo e l’impossibilità di ridurlo a una narrazione univoca.
Winogrand ha così contribuito a ridefinire la fotografia come strumento critico: non solo mezzo per registrare la realtà, ma linguaggio capace di rivelarne la complessità, le contraddizioni e i lati nascosti. La sua eredità continua a essere oggetto di studi e mostre, confermando il suo ruolo di figura chiave nella storia della fotografia del Novecento.

Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.