La FILMA (Fabbrica Italiana Lamine Milano) rappresenta un capitolo fondamentale nella storia della fotografia italiana, caratterizzato da innovazioni tecniche, ricerca chimica avanzata e una produzione di alta qualità che ha contribuito a definire gli standard industriali del settore. Fondata da Antonio Bencini negli anni Trenta del Novecento, l’azienda si distinse per la capacità di coniugare artigianalità e industrializzazione, producendo materiali fotosensibili, carte per stampa e prodotti chimici che divennero punti di riferimento per professionisti e amatori. Questo articolo esplora il percorso tecnologico della FILMA, analizzando le sue realizzazioni più significative e il contesto storico in cui operò, con particolare attenzione agli aspetti tecnici che ne determinarono il successo.
Le Origini e la Fondazione di FILMA
Antonio Bencini, figura centrale nell’industria fotografica italiana, fondò la FILMA nel 1933 a Milano, in un periodo di trasformazione tecnologica per il settore. La scelta della città non fu casuale: Milano era il cuore produttivo e culturale della fotografia nazionale, sede di laboratori pionieristici come quelli di Cappelli e Tensi, nonché luogo di sperimentazione per nuove tecniche di stampa. Bencini, già esperto in chimica applicata ai materiali fotosensibili, intuì la necessità di un’azienda che potesse competere con i colossi stranieri come Kodak e Agfa, offrendo prodotti di qualità a costi accessibili.
La prima fase produttiva della FILMA si concentrò sulla realizzazione di carte baritate, un supporto essenziale per la stampa fotografica. Queste carte, costituite da un sottile strato di solfato di bario applicato su carta fibrosa, miglioravano la brillantezza e la definizione delle immagini grazie alla loro superficie liscia e riflettente. Il processo di produzione richiedeva precisione millimetrica: la sospensione di solfato di bario veniva stesa su rotoli di carta di cotone mediante cilindri riscaldati, seguendo un protocollo sviluppato da Bencini in collaborazione con chimici tedeschi. La formula, brevettata nel 1935, includeva l’aggiunta di colloidi gelatinosi per aumentare l’adesione dello strato baritato al supporto, riducendo il rischio di distacchi durante lo sviluppo.
Un aspetto rivoluzionario fu l’introduzione di una linea di produzione semi-automatizzata, che combinava macchinari tedeschi per la laminazione con controlli manuali di qualità. Questo approccio ibrido permise alla FILMA di ottimizzare i tempi senza sacrificare la cura artigianale, differenziandosi dai competitor internazionali che privilegiavano la quantità sulla qualità. I primi cataloghi aziendali, pubblicati nel 1937, includevano oltre 20 varianti di carta baritata, classificate in base alla grana (da “extra-fine” a “strutturata”), alla tonalità (neutra, calda o fredda) e alla superficie (lucida, opaca o satinata).
Parallelamente, Bencini avviò la produzione di chimici per sviluppo e fissaggio, formulati per essere compatibili con le emulsioni fotografiche dell’epoca. Il Developer F-12, lanciato nel 1936, utilizzava una combinazione di metolo e idrochinone in soluzione alcalina, garantendo tempi di sviluppo rapidi e una gamma tonale estesa. La scelta di impiegare carbonati alcalini anziché borace, comune nelle formule concorrenti, ridusse il rischio di velature indesiderate, un problema frequente con le pellicole a bassa sensibilità.
Tecnologie e Innovazioni nel Dopoguerra
Il secondo conflitto mondiale impose una pausa forzata alle attività della FILMA, ma già nel 1947 l’azienda riavviò la produzione con un nuovo stabilimento a Sesto San Giovanni. Il dopoguerra segnò l’inizio di una fase di espansione tecnologica, guidata dalla domanda di materiali per la fotografia amatoriale. In questo contesto, la FILMA sviluppò la Serie Aurora, una linea di carte per ingrandimenti a contrasto variabile, basate su emulsioni al cloruro e bromuro d’argento. L’innovazione chiave risiedeva nel controllo della sensibilità cromatica: attraverso l’aggiunta di coloranti sensibilizzanti come il cianina, le carte potevano essere esposte con filtri di diversa densità, permettendo di regolare il contrasto in fase di stampa senza sostituire il materiale.
Il brevetto IT 35678/1951 descriveva un metodo per stabilizzare le emulsioni mediante l’uso di sali di rodio, che riducevano il degrado ossidativo durante lo stoccaggio. Questa soluzione, ispirata alle ricerche di Emanuel Goldberg sui composti metallorganici, garantì alle carte FILMA una shelf life superiore a quella dei prodotti concorrenti, diventando un fattore decisivo per l’export verso mercati con climi tropicali.
Negli anni Cinquanta, l’azienda affrontò la sfida della fotografia a colori, dominata da Kodak e Ferrania. La risposta fu la Pellicola CromoFilm, lanciata nel 1958, basata su un processo negativo-positivo con maschera colore integrata. La tecnologia sfruttava tre strati sensibili ai colori primari (blu, verde, rosso), ciascuno accoppiato a un colorante azoico sviluppabile in soluzioni acide. La peculiarità della CromoFilm era l’uso di sostanze anti-iridescenza a base di fluoruri, applicate tra gli strati per minimizzare le rifrazioni parassite, un problema critico nelle pellicole a colori dell’epoca. Sebbene la resa cromatica non raggiungesse i livelli delle pellicole americane, la CromoFilm si distinse per la stabilità dei colori nel tempo, grazie a un sistema di stabilizzazione con derivati della benzotriazolo.
Sviluppi Industriali e Collaborazioni Internazionali
La crescita della FILMA negli anni Sessanta fu legata a partnership strategiche con aziende europee. Nel 1962, l’accordo con la tedesca Agfa permise l’adozione di tecnologie per la produzione di carte politenate, rivestite con resine poliestere per aumentare la resistenza all’umidità. Questo know-how fu integrato con i processi italiani, dando vita alla Linea Diamante, caratterizzata da una superficie impermeabile e da tempi di asciugatura ridotti del 30% rispetto alle carte tradizionali.
Un altro traguardo fu lo sviluppo del Sistema Modulare F-70 (1967), una famiglia di prodotti chimici compatibili tra loro, progettati per ottimizzare i processi di laboratorio. Il sistema includeva:
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Sviluppatore FD-10: a base di fenidone e ascorbato di sodio, con pH controllato per minimizzare la formazione di schiume
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Fissaggio FX-5: utilizzante tiosolfato d’ammonio e buffer borati per una rimozione efficiente degli alogenuri d’argento
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Toners selettivi: come il T-22 a base di solfuro d’oro, per ottenere tonalità calde senza alterare la grana
L’approccio modulare semplificò il workflow dei laboratori fotografici, riducendo i tempi morti legati al cambio dei bagni chimici. Il successo del F-70 fu tale che nel 1971 la FILMA esportava il 40% della sua produzione in Europa orientale e Sud America.
Declino
L’avvento della fotografia digitale negli anni Novanta pose sfide insormontabili per la FILMA. Nonostante tentativi di diversificazione, come la Linea DigiPrint (1995) per la stampa ibrida analogico-digitale, l’azienda non riuscì a competere con i nuovi standard del mercato. La chiusura dello stabilimento di Sesto San Giovanni nel 2003 segnò la fine di un’era, ma il patrimonio tecnologico della FILMA rimane oggetto di studio per gli storici della fotografia.
Tra le innovazioni meno note spicca il Processo Bencini-Guidotti (1982), un metodo per la produzione di emulsioni a grana ultra-fine mediante cristallizzazione controllata in gelatina fosfatata. Questo approccio, descritto nel Journal of Photographic Science, anticipò tecniche oggi utilizzate nella fabbricazione di sensori digitali.