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André Kertész

André Kertész nacque a Budapest, in Ungheria, il 2 luglio 1894 in una famiglia di origine ebraica di ceto medio. La sua giovinezza fu segnata da un ambiente culturale vivace, nel quale la lettura e le arti visive occupavano un ruolo centrale, e da un contesto urbano che cominciava a vivere le trasformazioni della modernità. Morì a New York, il 28 settembre 1985, dopo una lunga carriera che lo vide tra i più influenti innovatori del linguaggio fotografico del Novecento.

Formazione e primi anni in Ungheria

La formazione fotografica di André Kertész non seguì un percorso accademico, ma si sviluppò in modo spontaneo, attraverso l’osservazione e la pratica personale. Fin da giovane mostrò interesse per la composizione visiva e per l’uso della luce, elementi che diventeranno marchi distintivi della sua poetica. Le prime immagini scattate nei dintorni di Budapest non avevano la finalità di documentare in modo oggettivo, quanto piuttosto di restituire un’atmosfera intima, un diario visivo della quotidianità. La fotografia, per Kertész, divenne fin dagli inizi un mezzo per tradurre emozioni personali in forma visiva.

Un momento determinante fu la Prima Guerra Mondiale. Arruolato nell’esercito austro-ungarico, portò con sé la macchina fotografica e realizzò una serie di immagini che non avevano nulla a che fare con l’iconografia militare ufficiale. Non si concentrò su battaglie o azioni eroiche, ma su frammenti minimi: soldati che riposano, paesaggi attraversati dalla malinconia della guerra, dettagli che suggerivano più stati d’animo che cronaca. Questa attenzione al quotidiano, al frammento apparentemente marginale, definì la sua cifra stilistica.

L’esperienza bellica fu anche un banco di prova tecnico. Costretto a lavorare con mezzi limitati, Kertész imparò a gestire condizioni di luce difficili e a sperimentare inquadrature inconsuete, affinando la sua capacità di cogliere il senso poetico delle situazioni più banali. Nel dopoguerra, tornato a Budapest, lavorò per breve tempo in banca, ma ben presto decise di dedicarsi alla fotografia. Pubblicò alcune immagini su riviste illustrate ungheresi, ricevendo incoraggiamenti che lo spinsero a cercare un orizzonte più ampio.

Già nelle opere giovanili si nota il suo distacco dalle convenzioni del pittorialismo, corrente ancora diffusa in Europa. Kertész preferiva un approccio diretto, con attenzione alla composizione geometrica e al valore narrativo dei dettagli. Le fotografie di paesaggi rurali, scene di strada e momenti domestici possedevano una naturalezza lontana dagli artifici estetizzanti. In questa fase maturò il suo convincimento che la fotografia non dovesse essere subordinata alla pittura, ma sviluppare un proprio linguaggio autonomo, fondato su spontaneità e osservazione intuitiva.

Parigi e le avanguardie (1925–1936)

Nel 1925 Kertész si trasferì a Parigi, città che in quel periodo rappresentava il cuore pulsante delle avanguardie artistiche europee. Scelse Montparnasse come luogo di vita e di lavoro, un quartiere popolato da pittori, scrittori e fotografi che animavano le discussioni estetiche. Qui incontrò figure come Brassaï, Man Ray, Piet Mondrian e Marc Chagall, con i quali instaurò rapporti di amicizia e collaborazione. L’ambiente parigino offriva stimoli continui e la possibilità di sviluppare la propria ricerca in dialogo con le arti figurative.

A Parigi Kertész trovò la condizione ideale per sperimentare. Realizzò fotografie che esploravano il gioco dei riflessi, le distorsioni ottiche e le inquadrature insolite, spesso ottenute da prospettive elevate o angolate. La sua attenzione era rivolta non tanto alla descrizione fedele del reale, quanto alla possibilità di interpretarlo con uno sguardo personale, lirico e poetico. Questa scelta lo avvicinò ai surrealisti, anche se Kertész non si identificò mai completamente con un movimento specifico.

Le sue celebri distorsioni, ottenute utilizzando specchi e lenti particolari, rappresentarono una svolta tecnica e concettuale. Non erano semplici esercizi di stile, ma indagini sul rapporto tra visione e realtà. Attraverso corpi allungati, figure deformate e giochi di ombre, Kertész metteva in discussione l’idea di una fotografia come pura registrazione oggettiva. Il suo obiettivo era mostrare come la macchina fotografica potesse rivelare dimensioni nascoste del visibile, interpretando la realtà piuttosto che riprodurla.

Parallelamente sviluppò un’intensa attività di fotogiornalismo per riviste come VU, dove i suoi reportage dimostravano la capacità di unire immediatezza narrativa e ricerca formale. Le immagini di vita parigina, i caffè, le strade e gli atelier artistici, costituivano un diario visivo che testimoniava la modernità urbana. L’uso innovativo della luce naturale e la capacità di cogliere istanti effimeri lo posero tra i pionieri della fotografia di strada.

L’esperienza parigina consolidò la sua fama internazionale. Le esposizioni e le pubblicazioni lo accreditarono come uno degli interpreti più originali della fotografia modernista. Kertész riuscì a coniugare documentazione e poesia, mostrando come il linguaggio fotografico potesse essere al tempo stesso cronaca e arte. Questa doppia valenza divenne un tratto distintivo della sua opera e influenzò generazioni successive.

L’esperienza americana e il fotogiornalismo

Nel 1936 Kertész si trasferì negli Stati Uniti, stabilendosi a New York. La scelta fu motivata sia da opportunità professionali sia dalla crescente instabilità politica in Europa. L’impatto con l’America, tuttavia, non fu semplice. Nonostante la sua reputazione consolidata in Europa, negli Stati Uniti faticò a trovare lo stesso riconoscimento. L’ambiente fotografico americano era dominato da figure come Alfred Stieglitz e Edward Steichen, e il mercato editoriale richiedeva un approccio più commerciale.

Kertész iniziò a collaborare con riviste di moda e lifestyle, in particolare con Harper’s Bazaar. Qui sviluppò un linguaggio più orientato alla comunicazione visiva immediata, adattandosi alle esigenze editoriali ma senza abbandonare del tutto la propria sensibilità lirica. Le fotografie di moda, i ritratti e i servizi urbani mantenevano sempre una traccia del suo sguardo poetico, anche quando si trattava di soddisfare richieste di tipo pubblicitario.

Tuttavia, questa fase fu caratterizzata anche da un senso di isolamento. Molti critici sottolineano come negli anni americani Kertész abbia vissuto una sorta di scissione: da un lato la fotografia commerciale, dall’altro la ricerca personale, coltivata in modo più intimo e meno visibile. Le immagini di New York, i tetti, le ombre proiettate dai grattacieli e i dettagli architettonici costituiscono un corpus di grande valore artistico, ma non ebbero nell’immediato la stessa risonanza delle opere parigine.

Negli anni Sessanta e Settanta la sua opera venne progressivamente rivalutata. Importanti mostre retrospettive, come quelle organizzate dal Museum of Modern Art, riportarono l’attenzione sulla sua figura e ne sancirono il ruolo di maestro riconosciuto. In questo periodo Kertész sviluppò una produzione più intima, spesso realizzata nel proprio appartamento, fotografando oggetti quotidiani come fiori, bicchieri o posacenere. Anche in questi soggetti minimi emergeva la sua capacità di trasformare il banale in immagine poetica, sottolineando come la fotografia potesse rivelare bellezza ovunque.

L’esperienza americana mise in evidenza il suo spirito indipendente. Nonostante le difficoltà di mercato, Kertész rimase fedele alla propria concezione della fotografia come strumento di espressione personale, capace di tradurre emozioni e pensieri in immagini. Questa visione lo distingueva dai fotografi che privilegiavano un approccio più documentaristico o propagandistico, collocandolo in una posizione autonoma nel panorama internazionale.

Opere principali

Nell’arco della sua lunga carriera André Kertész produsse un corpus vastissimo. Alcune opere sono considerate fondamentali per comprendere l’evoluzione del linguaggio fotografico moderno.

  • Soldati al fronte, 1915–1918: immagini della Prima Guerra Mondiale che rivelano un’inedita sensibilità lirica.
  • Chez Mondrian, 1926: fotografia dell’interno dell’appartamento di Piet Mondrian, esempio della sua capacità di trasformare uno spazio ordinario in composizione astratta.
  • Distorsioni, 1933: serie di ritratti femminili realizzati con specchi deformanti, punto di riferimento per la ricerca sul rapporto tra fotografia e percezione.
  • Meudon, 1928: veduta urbana con un uomo che porta un pacco attraverso un viadotto, divenuta icona della sua produzione parigina.
  • Washington Square, anni ’50–’70: sequenza di immagini realizzate dalla finestra del suo appartamento a New York, in cui osservava la vita quotidiana della piazza sottostante.
  • Still Life con bicchiere, 1960–1970: nature morte intime, testimonianza della fase tarda caratterizzata da un minimalismo poetico.

Influenza e riconoscimenti

La figura di André Kertész ebbe un impatto profondo sulla storia della fotografia. Henri Cartier-Bresson lo considerava un maestro e riconosceva di aver appreso da lui l’arte di cogliere il cosiddetto “momento decisivo”. Anche se Kertész non teorizzò mai in termini accademici la propria pratica, le sue immagini rappresentarono un laboratorio visivo da cui molti fotografi trassero ispirazione.

Negli Stati Uniti il suo riconoscimento arrivò con ritardo, ma fu duraturo. Mostre retrospettive e monografie pubblicate negli anni Settanta e Ottanta lo inserirono a pieno titolo tra i grandi maestri del Novecento. L’approccio diaristico, la capacità di coniugare documentazione e lirismo e la sensibilità per i dettagli minimi continuano a essere studiati come elementi fondanti di una visione fotografica autonoma.

Il suo lavoro anticipò molte delle tendenze della street photography e della fotografia intimista del secondo Novecento. L’idea che l’immagine potesse nascere dall’osservazione attenta di situazioni ordinarie e che la macchina fotografica fosse un mezzo per tradurre stati d’animo più che per costruire narrazioni ufficiali costituisce ancora oggi una lezione attuale.

La lunga vita di Kertész, attraversata da continenti e linguaggi, testimonia la possibilità di una fotografia che non si lega a un unico stile, ma che mantiene una continuità poetica al di là delle mode e delle convenzioni. Le sue opere, custodite nei maggiori musei del mondo, continuano a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per studiosi e appassionati.

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