La Gothenburg Camera Factory, fondata a Göteborg, Svezia, in un periodo compreso tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, rappresenta un caso esemplare nella storia dell’industria fotografica minore europea: un costruttore artigianale, fortemente radicato in un tessuto produttivo regionale, che ha cercato di coniugare la tradizione meccanica scandinava con l’innovazione tecnica applicata alla fotografia. Le fonti disponibili sulla Gothenburg Camera Factory sono relativamente scarse, ma l’analisi dei pochi apparecchi giunti fino a noi consente di delineare con buona precisione i tratti distintivi del suo approccio tecnico e industriale.
La Svezia dell’epoca si trovava in una fase di progressiva industrializzazione, con Göteborg (Gothenburg nella traslitterazione inglese) che emergeva come polo manifatturiero, soprattutto nei settori della meccanica di precisione, dei trasporti e della produzione navale. All’interno di questo contesto, la costruzione di apparecchi fotografici rappresentava un’estensione logica delle competenze metalmeccaniche esistenti, con particolare riferimento a lavorazioni in ottone, acciaio temprato e alluminio pressofuso, tutte tecnologie fondamentali per la produzione di fotocamere a otturatore centrale e chassis a tenuta di luce.
Le prime fotocamere attribuibili con certezza alla Gothenburg Camera Factory risalgono alla prima metà degli anni Trenta. Si tratta di apparecchi a soffietto, destinati al formato 6×9 cm su pellicola tipo 120, che seguono uno schema progettuale affine a quello di coevi modelli tedeschi ed austriaci, ma con caratteristiche costruttive proprie. Il telaio è tipicamente in lega di alluminio anodizzato, con parti mobili montate su guide in acciaio trattato, mentre la finitura superficiale è opaca, con evidenti segni di lavorazione manuale. I corpi macchina sono assemblati con rivetti interni e viti imperdibili, tecnica che garantiva robustezza e semplificava la manutenzione sul campo.
Gli otturatori impiegati erano inizialmente di produzione locale, con meccanismi a scatto singolo e tempi variabili tra 1/25 e 1/150 di secondo, regolabili attraverso una corona zigrinata posta frontalmente all’ottica. In alcuni casi si trovano esemplari equipaggiati con otturatori Compur importati dalla Germania, suggerendo una strategia ibrida di approvvigionamento tecnico. Le lenti erano generalmente fornite da subappaltatori locali, tra cui si citano alcuni piccoli laboratori di Uppsala e Malmö, che producevano ottiche triplet tipo Cooke, con apertura f/4.5 e f/6.3, trattate con rivestimento antiriflesso monocromatico già a partire dal 1937, in anticipo rispetto ad altri costruttori minori europei.
Un aspetto distintivo delle fotocamere Gothenburg è l’estrema semplicità funzionale combinata con precisione ingegneristica. Il mirino a traguardo metallico, privo di prismi o lenti accessorie, si accompagna a un telaio interno perfettamente rettangolare, con meccanismo di avvolgimento della pellicola manuale ma assistito da una doppia ruota dentata antislittamento, una soluzione rara per l’epoca, ideata per evitare errori di avanzamento nei formati verticali. La maniglia superiore era realizzata in cuoio pressato e montata su supporti cromati a scomparsa. La piastra porta-ottica anteriore, montata su due binari paralleli, era richiudibile all’interno del corpo, con un sistema a chiusura di sicurezza che bloccava il gruppo ottica-otturatore in posizione di trasporto.
Dal punto di vista dell’identità industriale, è importante sottolineare che la Gothenburg Camera Factory non operava secondo i modelli su larga scala delle fabbriche tedesche, ma piuttosto come laboratorio industriale integrato, con una produzione annuale molto contenuta, probabilmente non superiore alle 500 unità per modello. Alcuni documenti doganali degli anni Quaranta fanno riferimento a esportazioni verso la Norvegia e la Danimarca, suggerendo che il principale mercato fosse nordico e di prossimità. Nessuna fonte attesta vendite in territorio statunitense o britannico, e non risultano distribuzioni attraverso grandi catene fotografiche.
L’approccio progettuale della Gothenburg Camera Factory si distingue per un’attenzione specifica alla modularità tecnica, caratteristica che emerge soprattutto nei modelli realizzati tra il 1938 e il 1945. In particolare, alcuni esemplari costruiti tra il 1940 e il 1943 presentano supporti per lenti intercambiabili a baionetta, con un sistema di blocco meccanico che consente il montaggio di lenti con attacco proprietario, sostituibili in campo senza disassemblare la piastra anteriore. Una soluzione avanzata per l’epoca, adottata solo da pochissimi costruttori non tedeschi, e che suggerisce l’esistenza di un piccolo catalogo di ottiche dedicate, oggi purtroppo quasi del tutto perduto.
Un ulteriore elemento tecnico di rilievo è il sistema di estensione del soffietto tramite cremagliere interne nascoste. Invece di adottare la tradizionale estensione con guida lineare esterna, Gothenburg realizzò un meccanismo telescopico interno, protetto da una guaina in tessuto cerato, che consentiva un’estensione fluida, silenziosa, e perfettamente rettilinea. Il vantaggio principale era la riduzione delle vibrazioni, fondamentale nelle riprese a lunga esposizione con pellicole ortocromatiche, spesso utilizzate nei paesi nordici fino alla fine degli anni Trenta per via della loro migliore resa con i cieli scandinavi.
La qualità costruttiva, per quanto indiscutibile, non fu sufficiente a garantire la sopravvivenza dell’azienda nella seconda metà del XX secolo. Il dopoguerra impose nuovi standard di produzione, economie di scala e un progressivo abbassamento dei costi che premiò i grandi costruttori giapponesi e tedeschi. La Gothenburg Camera Factory, priva di un apparato commerciale strutturato, non riuscì a competere con modelli economici prodotti in serie da Agfa, Kodak, Voigtländer o Konica, tutti capaci di offrire fotocamere compatte, leggere e più semplici da usare per l’utente comune.
Nel tentativo di rilanciare l’attività, tra il 1947 e il 1949 furono progettati due prototipi per fotocamere a telemetro, destinati al formato 35 mm. Di questi modelli si conoscono pochissimi esemplari sopravvissuti, uno dei quali, conservato in una collezione privata a Stoccolma, presenta una meccanica interna simile a quella delle primissime Contax I, con tendine orizzontali e otturatore a scorrimento sul piano pellicola. Le lenti previste erano 50mm f/3.5, probabilmente di manifattura svedese, montate su baionetta rigida. Tuttavia, i costi di produzione si rivelarono insostenibili, e il progetto fu abbandonato prima dell’industrializzazione.
La chiusura definitiva della Gothenburg Camera Factory avviene nei primi anni Cinquanta, senza una transizione societaria documentata. Non si conoscono vendite di brevetti, né acquisizioni da parte di altri produttori. L’eredità dell’azienda sopravvive quasi esclusivamente nei pochi apparecchi superstiti, apprezzati dai collezionisti per la rarità, la qualità costruttiva e la provenienza nordica non usuale. Oggi si stima che siano rimasti meno di duecento apparecchi in circolazione, molti dei quali in condizioni non operative, ma conservati per fini museali e di studio.
Il contributo della Gothenburg Camera Factory alla storia della fotografia, sebbene minoritario in termini quantitativi, risulta significativo come esempio di micro-industria di precisione applicata alla fotografia, capace di proporre soluzioni tecniche originali in un contesto geografico e culturale poco rappresentato nella narrativa dominante del Novecento fotografico.

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