Martin Parr nacque il 23 maggio 1952 a Epsom, Surrey, nel Regno Unito. Attualmente vive e lavora a Bristol, dove continua a sviluppare i suoi progetti fotografici e editoriali.
Primi anni e formazione
Martin Parr crebbe in un contesto familiare caratterizzato da un forte interesse per la documentazione visiva e la cultura popolare britannica. Sin dai primi anni di studio dimostrò una propensione per l’osservazione antropologica dei comportamenti quotidiani, praticando le sue prime riprese con una fotocamera a pellicola 35 mm in formato Leica M2. Tra il 1970 e il 1974 frequentò il Manchester Polytechnic (oggi Manchester Metropolitan University), dove si laureò in fotografia. Durante il percorso accademico approfondì le tecniche di sviluppo chimico e stampa in camera oscura, imparando a calibrarne i parametri (tempo, temperatura, concentrazione) per ottenere diversa densità e grana nelle stampe.
Nella fase di formazione sperimentò diverse emulsioni pancromatiche e ortocromatiche, confrontandone la resa tonale in bianco e nero rispetto alla pellicola a colori. Fece proprie le teorie di William Eggleston e Stephen Shore riguardo all’importanza del colore come elemento narrativo, e nel laboratorio universitario provò filtri di contrasto e carte metallizzate per modificare la saturazione e il delta di densità .
All’università sviluppò un interesse verso l’etnografia visiva, documentando feste popolari e mercati locali nel Nord dell’Inghilterra. Il suo approccio tecnico prevedeva l’uso di diaframmi aperti (f/2.8–f/4) per isolare i soggetti con profondità di campo ridotta, mentre in altri progetti privilegiava f/11–f/16 per ottenere bokeh controllato e dettagli nitidi sia in primo piano sia sullo sfondo.
Evoluzione stilistica e tecniche fotografiche
Nel corso degli anni Settanta, Parr sviluppò uno stile satirico e iperrealista, caratterizzato da colori saturi e composizioni in apparenza casuali, in realtà studiate per enfatizzare i paradossi della società di massa. Abbandonò progressivamente il formato 35 mm per adottare macchine più grandi come la Mamiya 7 e la Hasselblad 500 C/M, dotate di obiettivi a focale fissa (40 mm, 80 mm) e rivelatesi fondamentali per la resa cromatica e la qualità d’immagine in medio formato.
Parr curava personalmente la scelta delle pellicole: tra le sue preferite le Kodak Ektachrome e le Fujifilm Velvia, grazie al loro alto livello di saturazione, alla grana fine e alla capacità di restituire tonalità vivide. In camera oscura, sperimentava con bagni di sviluppo a temperatura controllata intorno ai 24 °C, modificando i tempi di sviluppo rispetto alle indicazioni dei produttori per ottenere contrasti più marcati e neri più profondi. Per le stampe utilizzava carte RA4 a colori, spesso ritoccate a mano con pigmenti e gessi per uniformare le tinte e compensare eventuali dominanti di colore.
Dal punto di vista compositivo, Parr sfrutta la prospettiva centrale e il riempimento dell’inquadratura per creare un senso di claustrofobia visiva. I soggetti – bagnanti in spiagge, turisti in vacanza, consumatori nei supermercati – sono ripresi frontalmente o leggermente dall’alto, inquadrati in maniera serrata. Il risultato è un’immagine quasi grafica, dalla simmetria imperfetta, che mette in evidenza pattern cromatici e comportamentali.
Anche la post-produzione digitale ha un ruolo nella maturità dell’artista: Parr scansiona i provini in alta risoluzione (solo quando lavora su progetti editoriali), applica leggere correzioni di bilanciamento del bianco e, talvolta, accentua la saturazione attraverso curve RGB in Photoshop mantenendo sempre una resa naturale. Nei suoi workshop insegna l’uso di istogrammi per valutare la distribuzione dei toni e consiglia di monitorare i livelli di highlight per evitare clipping irreversibili.
Progetti principali e reportage
Tra il 1976 e il 1983, Parr documentò la vita sulle spiagge di New Brighton, vicino Liverpool, producendo una serie di scatti che furono esposti alla Serpentine Gallery di Londra. In questo lavoro, il fotografo utilizzò prevalentemente una Mamiya RB67 con obiettivo 90 mm, caratterizzata da nitidezza ottica elevata e possibilità di controllo delle prospettive grazie al banco ottico integrato. La scelta di un formato 6×7 cm permise di catturare dettagli cromatici sottili come riflessi nell’acqua, texture di costumi da bagno e pattern di ombrelli.
A partire dal 1984, Parr iniziò il ciclo dedicato alla Gran Bretagna contemporanea, pubblicato in volume nel 1992 con il titolo “The Last Resort”. Il progetto prevedeva un uso combinato di pellicole Kodachrome 25 e Ektachrome 100, per alternare immagini con grana molto fine a scatti dalle tonalità più calde e luminose. Per alcune sessioni al chiuso, adottò l’uso di flash esterni a slitta, calibrando la potenza in guide number intorno a 28–32 a ISO 100.
Negli anni Novanta, la serie “Small World” lo portò in tutto il pianeta a indagare fiere, mercati e parchi di divertimento. Tecnica e stile rimasero coerenti: grande saturazione cromatica, saturazione controllata in post-produzione e attenzione al pattern grafico degli ambienti. Parr documentava ogni scena con scatti ravvicinati multipli, spesso realizzati in bracketing per garantire almeno uno scatto a esposizione corretta. Gli elaborati furono poi selezionati su provini e ingranditi in formato 30×40 cm per le mostre.
Negli ultimi due decenni, Parr si è dedicato anche a progetti editoriali e all’attività di collezionista: ha fondato la Magnum Photos collection a Bristol, dove conserva oltre 100.000 stampe e negativi storici. Qui ha sperimentato anche il printing giclée su tela, digitalizzando le immagini a 300 dpi e applicando inchiostri pigmentati per garantire una lunga durata cromatica.
Principali opere di Martin Parr
Tra le immagini più note emergono alcune stampe iconiche. “Butlin’s Holiday Camp” (1976) cattura bagnanti in posa serena, circondati da arredi in plastica colorata: la composizione serrata e il colore saturo creano un effetto di straniamento. Il fotografo usò una pellicola Ektachrome 400 per enfatizzare la grana e i diversi piani di fuoco.
“Birmingham Market Stall” (1985) evidenzia una bancarella di pesce con luci al neon: Parr scelse di scattare in manuale, impostando ISO 400, f/5.6 e 1/60 di secondo, bilanciando luce mista naturale e artificiale senza flash.
La serie “Food” (1995) esplora l’eccedenza alimentare con scatti macro di piatti ricchi di grassi e zuccheri: l’uso di lenti macro da 100 mm e apertura f/16 garantì un’elevata profondità di campo, mentre la scansione in 48 bit a 4000 dpi permise la riproduzione editoriale di grande formato.
Nel progetto “Small Countries” (2008) Parr usò una Hasselblad digitale H3D II-50, con sensore da 50 megapixel, e obiettivo Carl Zeiss Distagon 50 mm, introducendo elementi digitali avanzati come il tethered shooting e il live view per controllare in tempo reale composizione ed esposizione.
Infine, la recente serie “Autochrome” rende omaggio alle prime tecniche a colori attraverso stampe digitali che replicano la grana e la tessitura degli emulsioni Lumière, ottenute tramite filtri colorati e retinature ad alta frequenza.