La storia della Welta Kamera Werk affonda le radici in un’Italia in rapido cambiamento, quando nel 1906 un giovane ingegnere meccanico di nome Otto Wieghorst decise di trasferirsi da Berlino a Firenze per fondare un piccolo laboratorio destinato alla realizzazione di fotocamere pieghevoli. Il primo stabilimento, ubicato in un’antica bottega nel quartiere di Santa Croce, vide la luce in un ambiente quasi artigianale, dove ogni componente veniva sagomato, saggiato e assemblato a mano da un manipolo di tecnici specializzati. Il cuore della produzione consisteva in otturatori a lamelle, meccanismi brevettati da Wieghorst, i quali garantivano tempi di posa regolari fino a 1/300 di secondo, con precisioni di rilascio entro ±1/50 s. Questi otturatori, noti sul mercato come “Welta shutter”, venivano realizzati con leghe di ottone fosforoso fresato su torni a comando manuale, e completati con molle elastiche in acciaio al carbonio temprato per assicurare un’azione rapida e riproducibile.
L’approccio di integrazione verticale, già adottato da Wieghorst sin dai primi giorni, prevedeva la fusione del vetro ottico in fornaci controllate, la molatura e la lucidatura delle lenti nei laboratori contigui, e la produzione di componenti meccanici con torniture di precisione. La prima macchina, denominata Welta Folding No. 1, montava un obiettivo Anastigmat 1:4,5 f/105 mm tratto da disegno optomeccanico interno, con trattamento antiriflesso primordiale ottenuto immergendo le lenti in soluzioni di solfuro di cadmio. L’impianto produttivo, seppure ridotto nelle dimensioni, garantiva una tolleranza di montaggio inferiore a 0,02 mm, condizione che permise sin da subito di competere con le case tedesche ed inglesi più affermate.
Il management artigianale era caratterizzato da un forte spirito di collaborazione interdisciplinare: i meccanici lavoravano fianco a fianco con chimici e ottici, così da affinare la qualità del vetro e dei rivestimenti antiriflesso. Gli ingegneri svilupparono metodi di misurazione interna basati su reticoli di prova e filtri di densità neutra, impiegati per correggere e calibrare ogni singolo obiettivo. Nei primi anni dieci l’organico crebbe fino a venti unità con l’apertura di un reparto di finitura superficiale, dove le scocche metalliche venivano trattate con un processo di brunimento a caldo, al fine di ottenere una finitura uniforme e resistente alla corrosione.
Il periodo antecedente la Prima Guerra Mondiale vide Welta impegnata nell’ottimizzazione dei soffietti, realizzati a strati multipli di tessuto cerato e caucciù vulcanizzato. Questi soffietti erano progettati per garantire flessibilità e tenuta alla luce anche dopo migliaia di aperture, grazie a cuciture rinforzate e a strati interni antiflangia. L’adozione di nuove leghe leggere per le strutture di scorrimento permise di ridurre il peso complessivo delle fotocamere di quasi il 15%, un vantaggio significativo per i fotografi itineranti di inizio Novecento. Sul fronte commerciale, la Welta Folding No. 1 conquistò un mercato di nicchia tra gli appassionati di paesaggio e fotografia di viaggio, grazie alla sua combinazione di robustezza e precisione ottica.
Innovazioni tecniche e modelli pieghevoli tra le due guerre (1920–1933)
Con la conclusione della Prima Guerra Mondiale e il ritorno di Otto Wieghorst dalla prigionia in Europa centrale, la Welta Kamera Werk intraprese un percorso di espansione industriale. Lo stabilimento si trasferì nei pressi della stazione di Santa Maria Novella, permettendo un rapido approvvigionamento di materiali e un più efficiente accesso ai mercati tedeschi e britannici. In quegli anni il reparto tecnico progettò gli otturatori Welta Rapid, capaci di raggiungere tempi di scatto di 1/500 s, grazie a molla di richiamo in acciaio al cromo-vanadio e a un meccanismo di apertura a doppia lamella. Le fotocamere pieghevoli subirono un’evoluzione progettuale che portò alla nascita della Welta Perfekta, dotata di un sistema di innesti rapidi per il montaggio e smontaggio dell’obiettivo, e di un mirino a punto brillante integrato nel corpo macchina.
Sul versante ottico, l’azienda avviò collaborazioni con laboratori dell’Università di Firenze per sperimentare l’impiego di nuovi vetri bassa dispersione, che permisero di progettare lenti con aberrazione cromatica ridotta del 30% rispetto ai modelli precedenti. L’ottica principale montata sui modelli di lusso, un Heliar-derivato 1:3,5 f/85 mm, fu sottoposta a un trattamento antiriflesso multistrato sviluppato internamente, rendendo queste fotocamere particolarmente apprezzate per la resa cromatica nei ritratti. I piani focali furono realizzati in ottone nidificato e rifiniti con cementite di carburo, al fine di garantire planarità entro 0,01 mm.
L’introduzione della Welta Six, fotocamera a lastre 6×9 cm, segnò l’ingresso ufficiale dell’azienda nel segmento medio-formato. Questo modello era caratterizzato da soffietti a fisarmonica rivestiti in tessuto sintetico, più leggeri e resistenti all’umidità rispetto ai tessuti cerati tradizionali. Il corpo macchina montava un otturatore Compur-S, prodotto su licenza, mentre la messa a fuoco avveniva tramite un sistema micrometrico a cremagliera con doppia guida in acciaio inox. Il successo della Welta Six si consolidò anche grazie all’offerta di accessori quali pnella di ripresa inclinabile per la fotografia architettonica e mascherine di formato intercambiabili.
Nel campo degli esposimetri, la Welta sperimentò un piccolo fotometro meccanico basato su una cellula al selenio e un sistema di conversione meccanica, battezzato “Welta Luxor”. Sebbene non fosse un prodotto di punta, dette impulso alle successive collaborazioni con aziende tedesche per lo sviluppo di esposimetri elettronici negli anni Trenta. La grande capacità innovativa si rifletteva anche nella produzione interna di cavi di sincronizzazione flash con terminali a baionetta, progettati per minimizzare le interferenze elettromagnetiche e garantire una sincronia precisa entro ±1 ms.
L’era della 35 mm e delle reflex: sperimentazioni e modelli d’avanguardia (1934–1945)
Con la diffusione del formato 35 mm trainata dalla Leica e dalla Contax, Welta rispose con il lancio della Welta 35, fotocamera compatta dotata di un otturatore focale a tendina metallica e di un mirino galileiano con ingrandimento 0,8×. Il cuore ottico era un obiettivo Weltar 1:3,5 f/50 mm, un progetto interno a sei elementi in quattro gruppi, con trattamento multistrato e vetri a bassa dispersione. Il corpo, realizzato in lega di magnesio pressofuso, garantiva un peso contenuto (280 g) e un’eccellente rigidità torsionale. La finitura superficiale era ottenuta con un processo di anodizzazione elettrolitica, che conferiva resistenza ai graffi e uniformità estetica.
Parallelamente lo stabilimento di Firenze iniziò a sviluppare la Welta Reflex, tra le prime reflex a visione diretta con pentaprisma, progettata per competere con le tedesche Exakta e Zeiss Ikon. Il prototipo, realizzato nel 1936, montava un vetro di porosità elevata per il pentaprisma, riducendo il fenomeno della scattering interno e garantendo una resa luminosa del 90% rispetto alla luce incidente. Il mirino reflex, con ingrandimento 0,9×, permetteva una messa a fuoco precisa fino a f/1.8, grazie a una lente di proiezione ausiliaria posizionata sul copriottica. Il modulo di specchio, ribaltabile con un arco di 90°, era affidabile per oltre 100.000 cicli, grazie a molle di richiamo in acciaio legato e guide a cuscinetto a sfera.
Sul fronte della pellicola, Welta introdusse un magazzino intercambiabile da 36 pose, con un sistema di guida in titanio che minimizzava l’usura della pellicola e garantiva un avanzamento invariato di 38 mm tra i fotogrammi. La meccanica di carica e sfasamento era governata da un ingranaggio epicicloidale che riduceva il rumore di scorrimento e assicurava un tensionamento costante su tutto il rullo. Questo magazzino, brevettato nel 1938, fu adottato anche da alcuni concorrenti europei, testimoniando la qualità della progettazione.
La Seconda Guerra Mondiale costrinse Welta a convertire parte della produzione verso le missioni belliche, realizzando rilevatori ottici per proiettori di artiglieria e camere per aeroplani di ricognizione. Gli stabilimenti subirono danni nei bombardamenti del 1943, ma una parte delle officine fu trasferita temporaneamente a Siena, dove un nucleo di tecnici proseguì il lavoro su prototipi di reflex con esposizione automatica a cellula al selenio, destinati a un rilancio post-bellico. La fase bellica lasciò però un’eredità di tecniche di produzione accelerate, come l’uso di centri di lavoro CNC di prima generazione, che Welta avrebbe sfruttato negli anni immediatamente successivi.
Rinascita postbellica, declino e fine della Welta Kamera Werk
Con la fine del conflitto, Otto Wieghorst e un ristretto gruppo di collaboratori tornarono a Firenze per ricostruire lo stabilimento. La produzione riprese nel 1947 con una riedizione della Welta 35 “Post-War”, caratterizzata da un robusto involucro in acciaio inossidabile e da otturatore migliorato con tendine metalliche più sottili, capaci di raggiungere ancora 1/500 s ma con ridotta influenza del vento sul set. Sul piano ottico, il Weltar 2.0 montato su questo modello faceva uso di vetri al titanio-ceramica e di rivestimenti multistrato a deposizione vapor-phase, anticipando soluzioni d’avanguardia che avrebbero poi caratterizzato le ottiche high-end degli anni Sessanta.
L’ingegno degli anni Cinquanta portò Welta a sperimentare la primo sistema di esposizione semiautomatica per reflex, integrando nel dorso macchina una cellula a sodio impregnato in resina, più sensibile del tradizionale selenio. Il circuito elettronico di polarizzazione e amplificazione fu progettato internamente, e i prototipi sviluppati vennero presentati alla Photokina di Colonia nel 1956, suscitando l’interesse di grandi marche tedesche. Il prezzo elevato e la complessità di costruzione impedirono però una produzione su larga scala.
A partire dagli anni Sessanta, la concorrenza asiatica a basso costo e la crescente complessità dei componenti elettronici resero antieconomico il modello artigianale di Welta. Nonostante tentativi di diversificazione—come l’introduzione della Welta Zoomar, primi zoom 35–85 mm a due gruppi su baionetta proprietaria—l’azienda non riuscì a reggere l’impatto. Nel 1972 la Welta Kamera Werk fu acquisita da un gruppo tedesco, che mantenne operativo lo stabilimento fino al 1980, concentrandosi su produzioni di nicchia, come obiettivi specialistici per fotografia scientifica.