La Vokar Corporation nacque a Detroit, nel cuore dell’industria elettronica e automobilistica statunitense, nel 1948. Fondata da un gruppo di tecnici ed ingegneri provenienti dai settori radar e optoelettronici, la società si inscriveva nel clima post-bellico della transizione tecnologica: dall’elettronica militare alla consumer electronics. Vokar si propose fin da subito come fabbrica di apparecchiature ottiche integrate con elettronica, con l’obiettivo di sviluppare sistemi fotografici innovativi capaci di sfruttare sinergie tra ottica e misurazione elettronica.
Negli anni immediatamente successivi, Vokar concentrò gran parte delle risorse nella progettazione di due macro-famiglie di prodotti: telemetri elettronici portatili per usi topografici e militari, e prototipi di macchine fotografiche con esposimetro elettronico a integrazione diretta. Nonostante queste ambizioni, la produzione rimase modesta. Tra il 1952 e il 1954, l’azienda produsse un numero limitato di fotocamere denominati “Vokar-E” (Electronic), equipaggiate con otturatore centrale sincronizzato e un esposimetro integrato basato su celle fotoelettriche al tellururo di cadmio. Queste fotocamere implicavano un avanzamento tecnico significativo: erano tra le prime a misurare l’intensità luminosa direttamente attraverso la lente, elaborando un tempo di esposizione ottimale tramite un circuito analogico basato su tubi termoionici miniaturizzati.
Il trasferimento industriale da componenti elettroniche a prodotti consumer, tuttavia, si scontrò con difficoltà: problemi di affidabilità dei tubi, costi di produzione elevati, e scarsa rete di distribuzione limitarono fortemente la diffusione sul mercato. La concorrenza delle grandi aziende come Kodak, Canon, Leitz e Zeiss, dotate di offerte più robuste e consolidati canali commerciali, impose a Vokar una nicchia ristretta, principalmente destinata a cartografi, topografi, e alcuni operatori professionali.
Nel 1955, dopo aver chiuso il segmento consumer, Vokar vendette i suoi brevetti (soprattutto relativi agli esposimetri integrati) a una società svizzera, specializzata in strumenti scientifici, e si riconvertì parzialmente verso le apparecchiature industriali di misurazione fotometrica e densitometrica, abbandonando di fatto l’ambizione di competere nel mercato delle fotocamere grand pubblico. La produzione diretta finì ufficialmente nel 1956, ma la reputazione tecnica permase ancora qualche anno, grazie alla perfezione delle cellule fotoelettriche e alla linearità dei circuiti elettronici realizzati.
I modelli Vokar-E rappresentano un interessante punto di convergenza tra tecnologia ottica classica e sperimentazione elettronica. Furono costruiti con corpi in lega leggera d’alluminio, progettati per ospitare al loro interno moduli ottico‑elettronici complessi. Il peso oscillava tra i 600 e i 700 grammi, valori decisamente contenuti per l’epoca e paragonabili a quelli delle Leica contemporanee.
Sul piano ottico, la lente montata era un piccolo Tripletto acromatico da 50 mm f/2.8, derivato da disegni custodi Voigtländer-Heliar.Tale schema era scelto per offrire una lunghezza focale standard, luminosità intermedia e comfort ergonomico; l’apertura f/2.8 costituiva un buon compromesso tra prestazioni e facilità di calibrazione dell’esposimetro. Il trattamento antiriflesso, ottenuto mediante vapor deposition di fluoruri alcalini, consentiva una trasmittanza >95% e riduzione della perdita di contrasto, in perfetta sintonia con la sensibilità ridotta delle celle CdTe.
L’otturatore centrale sincronizzato era un modello Vokar brevettato, ricavato da un disco d’acciaio inox fresato al laser, con due tempi larghi (B e T) e una gamma di tempi meccanici da 1/30 a 1/250 s. La sincronizzazione per flash era garantita da un interruttore meccanico e da un piccolo smorzatore meccanico per ritardare l’apertura del disco, un sistema all’avanguardia per le applicazioni tecniche del periodo.
Il modulo elettronico era posizionato vicino all’obiettivo, inserito tra la lente posteriore e il corpo macchina. Si basava su una cella fotoelettrica al tellururo di cadmio, collegata a un amplificatore catodico, un tubo termoelettrico di misura e un circuito logico analogico capace di convertire la tensione generata in un comando per i tempi di otturazione. Il tempo veniva selezionato tramite una manopola, impostato in “stop” con indicatore su scala logarithmica, e sincronizzato al contatto meccanico dell’otturatore. Questo sistema rappresentava i primi passi nell’integrazione meccanica–elettronica.
Dal punto di vista costruttivo, la fotocamera presentava una scocca coassiale, con una sezione frontale cilindrica per l’obiettivo e un corpo squadrato per i circuiti, separati tramite supporti smorzanti in gomma per ridurre l’effetto delle vibrazioni. Il dorso era incernierato e dotato di uno slider per estrarre la pellicola; il selettore tempi ed esposizione era retroilluminato tramite una piccola lampada al tungsteno da 6 V, protetta in vetro opalino, visibile solo a macchina spenta.
La logica analogica, in parte modulare, permetteva la registrazione del valore di esposizione mediante una scala fluorescent, combinata con un puntatore in ottone leggero posizionato davanti ai numeri, visibile anche in condizioni crepuscolari. Il tutto funzionava con una pila al mercurio da 1,35 V, ma la durata non eccedeva i 100 scatti, a causa della corrente richiesta all’amplificatore.
La produzione dei modelli Vokar-E avvenne nello stabilimento di modo artigianale e semi-industriale: i corpi erano stampati in fusione e successivamente lavorati in CNC primitivo, mentre il montaggio ottico-elettronico veniva svolto a mano da operatori specializzati in una sala pulita. I fogli di saldatura venivano testati singolarmente, così come i trattamenti ottici.
Il loro posizionamento sul mercato fu però incerto e poco strategico. Il prezzo di listino si attestava intorno ai 250 USD del 1952, equivalenti oggi a oltre 2.200 USD. Le vendite si rivolgevano ad enti tecnici, ingegneri civili, agenzie di mappatura e militari, con una rete distributiva interna basata su agenti tecnici e workshop autorizzati. Ogni fotocamera era accompagnata da un manuale tecnico di assistenza, completo di schema circuitale, diagrammi di risposta dell’esposimetro e istruzioni per la calibrazione tramite riferimento al neutro grigio 18%.
Il supporto post-vendita includeva kit di sostituzione per la cella CdTe, il tubo amplificatore e l’otturatore, tutti rimanevano disponibili fino al 1956. Dopo la cessazione della produzione consumer, alcuni kit furono venduti su licenza in Svizzera sotto il marchio “Vokar Electronic Module”, orientati alla diagnostica fotografica e industriale.
Tecnici specializzati potevano ordinare viste ottiche calibrate su misura, cambiando il tripletto da 50 mm con un 35 mm f/3.5 grandangolare o un 85 mm f/2.8 per ritratto, su richiesta. Il corpo macchina era predisposto con filettature M42 per l’obiettivo, anticipando la futura standardizzazione dell’attacco M42 adottata da Pentax e altri costruttori.
La Vokar Corporation smise quasi completamente la produzione nel 1956, dopo aver venduto i brevetti e chiuso le linee consumer. La parte scientifica rimase però attiva in ambito misurazione ottica fino al 1962, quando la società venne incorporata da un produttore svizzero di densitometri, segnando la fine del marchio Vokar.
Nonostante la breve attività nel settore consumer, le fotocamere Vokar-E dimostrano una alta innovazione tecnica: sono tra i primi tentativi di integrazione tra esposimetro meccanico-elettronico e otturatore centrale sincronizzato, in un corpo compatto. Sebbene instabili a livello commerciale, inserirono concetti che sarebbero stati ripresi negli esposimetri TTL anni dopo.
Attualmente, i pochi esemplari superstiti (si stima circa 50–100 in musei privati e istituzionali) hanno un certo valore per i collezionisti e per gli storici della tecnologia: sono valutate tra i 1.500 e i 3.000 USD, a seconda dello stato funzionale ed estetico. Le condizioni indispensabili per le valutazioni migliori sono:
funzionamento dell’esposimetro elettronico,
integrità ottica e meccanica,
presenza del sacchetto rigido originale e manuale tecnico,
disponibilità della pila originale o equipollente.
La loro presenza nelle collezioni di istituti di storia della fotografia e dei musei di scienza e tecnologia è giustificata dal loro valore di esempi storici di transizione: mostrano come l’elettronica stesse entrando nei sistemi fotografici prima dell’era TTL — e sono spesso citati in saggi tecnici sulle origini dei circuiti elettronici nell’esposizione fotografica.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
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