La Quta Camera & Plate Company venne fondata a New York, con sede iniziale in 20 West 15th Street, attiva tra il 1904 e il 1919, secondo documenti societari e registri commerciali, con successivi cambi di indirizzo in Cypress Avenue e 11th Avenue . L’ideazione tecnica nasce da Herbert Edward Hickox, fotografo di Great Yarmouth (Inghilterra), che depositò il brevetto britannico il 14 marzo 1901 e quello statunitense (US Patent No. 697,624) il 15 aprile 1902 . In collaborazione con F. A. Phillips, Hickox realizzò un progetto innovativo per l’epoca: una macchina fotografica portatile per tintype (ferrotype), in grado di scattare e sviluppare immagini in loco in tempi rapidissimi. Questa fu comunicata al mercato come la “Quta Photo Machine”, venduta tra circa il 1904 e il 1911, secondo cataloghi e pubblicità dell’epoca .
La strategia di mercato puntava su tre elementi tecnici centrali: velocità, portabilità e semplicità operativa. Pubblicità dell’epoca enfatizzavano lo slogan “Produce una fotografia completa nel formato in meno di un minuto”, anticipando di decenni l’approccio Polaroid . La macchina veniva presentata come ideale per località di villeggiatura, spiagge, fiere e resort, dove si potevano realizzare foto istantanee e rivenderle a turisti e visitatori. Si proclamava che “un bambino imparava a usarla in sole due lezioni, senza alcuna conoscenza fotografica” .
Il modello Quta era prodotto in versioni con corpo in mogano lucidato o rivestimenti in pelle, con varie versioni costruttive: alcuni modelli avevano corpo a due pezzi con sezione inferiore contenente il serbatoio di sviluppo e quella superiore la parte fotografica; altri modelli erano monoblocco più semplici . In Inghilterra veniva distribuito da Jonathan Fallowfield, a partire dal 1907, con il nome “Popular Automatic Ferrotype Camera”, spesso con otturatore a lama anziché a sportello e prezzi attorno a £3-£3.10 nel 1910. L’attività commerciale si estese fino a circa il 1919, ma la produzione effettiva potrebbe essersi conclusa già nel 1906–1911.
In breve, la nascita dell’azienda e il suo sviluppo riflettono un periodo cruciale della storia della fotografia commerciale, in cui l’innovazione tecnica aveva obiettivi immediati e pratici: produrre ritratti itineranti direttamente sul luogo, senza laboratori esterni, con attrezzature compatte. Questo modello di business univa la composizione tecnica dell’apparecchio, la chimica dei dry ferrotype plates, e una distribuzione commerciale senza pari per quell’epoca.
Caratteristiche tecniche del Quta Photo Machine
La Quta Photo Machine possedeva una struttura self‑casing, ossia una fotocamera portatile che integrava anche il sistema di sviluppo interno. La parte superiore fungeva da comparto per scatto e messa a fuoco, mentre la parte inferiore conteneva un serbatoio in argentan (German silver) con due camere: sviluppo e fissaggio separate, benché molti modelli adottassero un bagno combinato, seguito da un lavaggio esterno.
Il caricamento delle lastre avveniva tramite un magazzino interno a lato dell’obiettivo, capace di contenere fino a 36 ferrotype plates da 2½ × 2″ (6,35 × 5 cm circa). Il pannello posteriore scorrevole consentiva di portare una lastra vergine dietro l’obiettivo; dopo l’esposizione, un meccanismo a molla liberava la lastra nella vasca inferiore per lo sviluppo automatico. Quest’azione consentiva un flusso continuo: composizione, scatto, sviluppo, fissaggio, pronta per la stampa o la consegna al cliente.
L’ottica adottata era un Petzval f/6, dotato di diaframma ad iris esterno da f/6 a f/22. Sebbene il Petzval non offrisse il miglior campo, era ampiamente diffuso per la sua apertura luminosa e rapide tempi di esposizione. Lo shutter era inizialmente tipo sportello (flap shutter) a comando pneumatico, poi evolutosi in otturatore a lama funzionante più fluidamente, a partire dal circa 1906 .
Alcuni modelli avevano un meccanismo che permetteva di inclinare la parte superiore del corpo per scattare in orientamento orizzontale (landscape), ruotandola rispetto al corpo inferiore — una funzionalità insolita per macchine così compatte . Le dimensioni compatte, combinate con la costruzione in mahogany e parti metalliche, rendevano l’insieme robusto ma portabile. Il design era pensato per operatori itineranti che lavoravano in spiaggia o fiere, dove il peso e l’ingombro dovevano essere ridotti al minimo.
Il processo chimico interno utilizzava dry ferrotype plates, cioè lastre secche verniciate con emulsione gelatinosa già sensibile; questo evitava il sistema wet plate tradizionale con sviluppo immediato su campo. Il vantaggio principale era l’indipendenza da darkroom mobili: l’utente inseriva la lastra, scattava, e il sistema di sviluppo automatico interno completava il processo. Il tempo totale promesso tra esposizione e immagine finita era di meno di un minuto, tipicamente 45‑60 secondi, dipendendo dalle condizioni ambientali e temperature .
Il meccanismo interno era studiato per garantire un ciclo preciso: esposizione, rilascio della lastra nella vasca inferiore, immersione automatica nei bagni chimici, blocco del movimento fino a fissaggio, e infine rilascio della piastra sviluppata in un vassoio o vano di raccolta. In alcune versioni, un sollevatore permetteva di estrarre la lastra senza rischio di contaminazione tra bagni . L’insieme rappresenta un notevole passo avanti nella ingegneria fotografica mobile.
Questa soluzione tecnica era unica per l’epoca: non solo offriva una performance rapida, ma anche una quantità di scatti consecutivi (fino a 36 con una singola carica) senza intervento manuale per ogni lastra. Tale efficienza permetteva a fotografi itineranti di servire una larga clientela in pochi minuti, vendendo le immagini immediate ai soggetti stessi o a spettatori sul posto.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.