Luigi Sacchi fu tra i primi fotografi d’Italia, noto per le sue immagini di architettura, monumenti, scene di guerra e ritratti d’arte, realizzati con tecniche dapprima analogiche (dagherrotipia, calotipia) e poi avanzate soluzioni di stampa. Nato da una famiglia di artisti attiva a Milano, studiò pittura e incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera (dal 1822), per poi cimentarsi in xilografia e litografia, diventando figura chiave nella comunicazione visiva dell’Ottocento italiano . Morì a Milano nel giugno del 1861, dopo aver documentato eventi patriottici del Risorgimento e fondato pubblicazioni illustrate d’arte.
Formazione artistica e approccio ai primi metodi fotografici (1822–1845)
Sacchi frequentò la Accademia di Belle Arti di Brera sin dal 1822, sotto la guida di pittori del calibro di Luigi Sabatelli, Francesco Hayez e Domenico Aspari, maturando una solida base nell’arte storica e nella prospettiva. Tra il 1827 e il 1829, espose dipinti di soggetto storico; successivamente si dedicò all’incisione e xilografia, diventando noto per la direzione grafica di Cosmorama Pittorico (dal 1835), rivista illuminata dove l’immagine superava il testo.
Le competenze acquisite nell’incisione favorirono una sensibilità verso la composizione, il tratto e il dettaglio, abilità che introdussero Sacchi alla nascente fotografia. Tra il 1839 e il 1841 iniziò a sperimentare dagherrotipia e calotipia, diventando uno dei primi “lucigrafi” in Lombardia. Restano testimonianze non certe di un portfolio del 1839, ma solo a partire dal 1845 si trovano immagini autenticabili, partecipando fin dal 1846 all’Esposizione dell’Industria Lombarda e nel 1847 al Congresso degli Scienziati Italiani a Venezia.
Tecnologicamente, adottò la calotipia talbotiana, che consentiva l’esposizione su carta e la moltiplicazione delle copie. Le sue stampe mostravano cura nella nitidezza di linea, nella scala tonale, nelle prospettive architettoniche, eredità della formazione accademica. Tra i soggetti prediletti figura l’atrio di Sant’Ambrogio (1849), esempio di composizione studiata e sapiente controllo della luce .
“Monumenti, Vedute e Costumi d’Italia” e la fotografia come strumento divulgativo (1851–1855)
Nel 1851 Sacchi presentò all’Accademia di Brera un progetto editoriale: una collana di fotografie dedicata a monumenti e paesaggi italiani, da utilizzare come strumento didattico. Acquistò a Parigi una fotocamera Giroux o Chevalier e apprese tecniche di sviluppo da Blanquart‑Evrard e Le Gray.
Il suo progetto, “Monumenti, Vedute e Costumi d’Italia”, fu concepito in quattro serie da 25 tavole ciascuna tra il 1852 e il 1855. Le immagini furono realizzate in formato grande, su carta albuminata, accompagnate da dettagliate note informativo‑descrittive. Si diffuse a livello nazionale e ricevette una medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi 1855, confermando la sua rilevanza come progetto fotografico sistematico.
La tecnica fotografica in questo periodo comprendeva l’utilizzo di carte trattate all’albumina, tempi di esposizione lunghi (secondi o decine di secondi), cavalletti stabili e gestione attenta dell’illuminazione solare. Le stampe mostrano geometrie precise e una gamma tonale uniforme, con neri profondi e dettagli architettonici accurati.
Vedute cittadine e ritratti monumentali (1855–1859)
Dopo il successo dell’opera, Sacchi continuò a fotografare monumenti italiani con particolare attenzione all’architettura milanese: il Duomo, la Basilica di Sant’Ambrogio, Porta Nuova, colonne di San Lorenzo, riletti nei dettagli di facciate e ambienti.
Nel 1857 girò una prima foto autentica dell’Ultima Cena di Leonardo, montata su impalcatura a sostegno della pellicola. L’immagine vinse la medaglia d’oro a Bruxelles 1856/57, riconosciuta come tra le migliori realizzazioni fotografiche di arte sacra.
Durante questo periodo Sacchi collaborò con Pompeo Pozzi, tramite il cui studio e rivista “L’Artista” (1859, 13 numeri) distribuì fotografie originali di arte e monumenti . Dal punto di vista tecnico, impiegò lastre albuminate da 20×25 e 30×40 cm, esposizioni multiple, filtri e svoci di luce controllata; fu attento all’equilibrio atmosferico: cieli luminosi poco sovraesposti, ombre nitide ma non chiuse.
Documentazione risorgimentale e patriottica (1859–1860)
Durante la Seconda Guerra d’Indipendenza (1859), Sacchi portò la fotografia direttamente sui fronti. Scattò al ponte di Magenta nel giorno della battaglia (4 giugno 1859) e, nel 1860, immortalò la casa di Garibaldi a Caprera. Queste immagini non solo documentavano i luoghi, ma assumevano valore di testimonianza patriottica e di cronaca visiva del Risorgimento.
Tecnologicamente affrontò sfide rilevanti: zone di guerra, smontaggio/carico della macchina fotografica, esposizioni improvvise, soggetti mobili (soldati, cavalli, fumo). Utilizzò lastre più rapide, esposizioni minime e cavalletti portatili. Il forte contrasto dei corpi illuminati contro il biancore delle lastre imprime profondità e forza narrativa alle immagini.
Tecniche fotografiche, materiali e procedure di stampa
Luigi Sacchi padroneggiò vari processi:
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Dagherrotipia (1839–ca.1841): immagine su lastra d’argento, unica, alta definizione, riflettente.
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Calotipia (dal 1845): negativo su carta iodurata sviluppata con acido gallico, stampa positiva moltiplicabile.
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Albumina su carta (dal 1851): carte rivestite di albume e cloruro argentico, con finitura lucida e dettagli nitidi.
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Sviluppi fotografici avanzati: uso di bagni di fissaggio potassico, lavaggi prolungati, stampe negative-carta corretti con citrato, esposizione alla luce Natura in camera oscura.
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Scala tonale: attenzione a densità media, evidenziare dettagli architettonici, evitare scie di imprinting e sottili aberrazioni.
Sacchi curava personalmente lo sviluppo, le stampe e la descrizione tecnica dei soggetti, attestando una visione di arte fotografica come mestiere completo, dove il fotografo era anche co-autore del risultato.
Ultimi lavori e morte (1860–1861)
Nel novembre 1860, Luigi Sacchi navigò verso Caprera per documentare la tenuta di Garibaldi. Scattò una serie di immagini della casa, del paesaggio e degli ambienti, ultime testimonianze fotografiche della sua carriera.
Pochi mesi dopo, il 22 giugno 1861, morì a Milano per problemi cardiaci. Alla sua morte lasciò un vasto archivio, oggi parte del Fondo Parenti, conservato nella Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte a Torino, contenente fotografie di Milano degli anni ’40 e ‘50 e le tavole del progetto monumentale