Jerry Uelsmann nacque il 11 giugno 1934 a Detroit, Michigan, negli Stati Uniti, e morì il 4 aprile 2022 a Gainesville, Florida. Figura di riferimento nella fotografia sperimentale del Novecento, ha dedicato oltre sessant’anni alla composizione analogica di immagini surreali, senza mai ricorrere al digitale, trasformando la camera oscura in un laboratorio quasi alchemico.
iglio di una famiglia della classe operaia di Detroit, Jerry Uelsmann mostrò fin da ragazzo una spiccata curiosità per le immagini in movimento e i motori, ma fu un regalo di compleanno a tredici anni — una modesta Kodak Brownie Flash — a introdurlo al mondo della fotografia su pellicola. Utilizzando pellicole a bassa sensibilità (ISO 100), sperimentò immediatamente l’effetto della profondità di campo, giocando con tempi di posa compresi tra 1/30 s e 1/125 s e diaframmi da f/8 a f/16 per ottenere un livello di nitidezza soddisfacente su soggetti immobili.
Dopo il diploma, Uelsmann si iscrisse all’University of Detroit Mercy, dove ottenne una laurea in Storia dell’Arte e Storia della Fotografia nel 1956. Frequentò con passione i laboratori Scoti del campus, dotati di ingranditori Durst a lenti acromatiche, vasche di sviluppo con agitazione meccanica e bagni di Metol‑Idrochinone a temperatura controllata. In questo contesto apprese l’arte del contact printing e le differenze fra emulsioni ortocromatiche e panchromatiche, confrontando negativi 4×5″ su carta baritata per massimizzare la gamma tonale.
Per il master Uelsmann si trasferì alla Indiana University; sotto la guida di Henry Holmes Smith, esplorò le possibilità della camera oscura come spazio di sperimentazione. Tra il 1957 e il 1959 realizzò i suoi primi collage fotografici, unendo negativi diversi con mascherature manuali, praticando dodging e burning con precisione chirurgica. L’arte del ritaglio venne sostituita dalla fusione di più ingrandimenti su un’unica stampa, in tempo reale, regolando l’altezza dell’ingranditore, l’intensità della luce e la durata dell’esposizione per ciascuna porzione di immagine. Questi esperimenti lo portarono a ricevere nel 1960 il primo incarico editoriale da riviste universitarie, che pubblicarono le sue immagini composite senza alcuna didascalia, dando spazio al potere evocativo delle forme oniriche.
Nel 1960 Uelsmann iniziò il dottorato alla University of Florida; qui, oltre a perfezionare il linguaggio compositivo, si mise alla prova con formati diversi: la medium format sul suo Rolleiflex 2.8E e il large format con una Sinar F‑Serie su lastre 4×5″ per le sue stampe più ambiziose. Con questi apparecchi studiò a fondo la prospettiva, la distorsione ottica e il rapporto tra soggetto e sfondo, elementi fondamentali nelle sue future surreal landscapes.
Evoluzione stilistica e tecniche fotografiche
Se la generazione dei fotografi sperimentali era ben avviata verso collage e manipolazione post‑scatto, Uelsmann scelse di mantenere un approccio totalmente analogico. Questo implicava l’uso di più ingranditori in tandem nella camera oscura, ciascuno proiettante un differente negativo su un’unica stampa d’archivio. All’apertura del laboratorio, disponeva in fila ingranditori Leitz e Durst da banco, allineati su guide metalliche, capaci di spostarsi in senso longitudinale e trasversale. Per ogni progetto fotomontaggio occorrevano fino a sette o otto negativi: alberi, figure umane, elementi architettonici, animali, cieli nuvolosi.
La procedura di composizione iniziava con la selezione di un’immagine base, proiettata sul piano di stampa con un timer a lampada alogena regolabile in frazioni di secondo. Una volta esposta la porzione principale, Uelsmann copriva con una maschera di cartoncino nera l’area già impressionata, esponendo successivamente un altro negativo su uno spazio diverso. La successione di mascherature e esposizioni parziali richiedeva un calcolo attento dei tempi: una sovraesposizione di appena 0.2 secondi poteva bruciare i dettagli nelle alte luci, mentre una sottoesposizione di 0.1 secondi lasciava aree troppo grigie.
Per controllare l’intensità luminosa utilizzava griglie a nido d’ape montate sui lampade di ingrandimento, aumentando il contrasto loco per loco; la griglia riduceva il fascio di luce, consentendo di accentuare il modeling tonale in zone particolarmente sensibili. Frequentemente adottava filtri a densità neutra (ND) per equilibrare condensazioni luminose tra soggetti diversi, in particolare quando un cielo troppo luminoso rischiava di dominare i primi piani scuri.
Le stampe finali erano realizzate su carta baritata grade 3 per neri intensi e bianchi pieni, fissate in tiosolfato di sodio per almeno 15 minuti e lavate in corrente d’acqua per 30 minuti, eliminando ogni traccia di sali residui. Se l’opera richiedeva un aspetto antico o “patinato”, sperimentava bagni di tonalizzazione al selenio, che modificava leggermente la tinta dei neri verso un marrone caldo, aumentando la resistenza alle radiazioni UV.
L’evoluzione stilistica di Uelsmann si affermò negli anni Settanta con le sue “Surreal Landscapes”, paesaggi immaginari in cui rocce sospese, radici contorte e archi di pietra si univano in un continuum spaziale impossibile. Questi lavori, realizzati tra il 1968 e il 1975, furono ottenuti combinando negativi di ambienti naturali (scatti su pellicola Kodak Tri‑X 400 a 5 minuti di sviluppo in D‑76 per grana marcata) con elementi architettonici ricavati da pellicole panchromatiche ad alta risoluzione (lastre 4×5″ su pellicola Ilford Delta 100).
Anche la macrofotografia entrò nel repertorio di tecniche di Uelsmann: per catturare dettagli botanici utilizzò obiettivi Schneider Kreuznach da 120 mm su banco ottico, realizzando ingrandimenti di foglie, bacche e insetti fino a 10× in camera oscura, proiettati su carta baritata con esattezza di messa a fuoco attraverso controllo micrometrico del piano di stampa. Questi dettagli trovavano poi posto negli ingrandimenti compositi, inseriti come tessere di un mosaico visivo complesso.
Progetti principali e opere
Il primo corpus di immagini che raccolse l’attenzione internazionale fu la serie “Untitled (Light Through Branches)” (1968–1970), in cui un contorto intreccio di rami compariva sospeso sopra un paesaggio nebbioso. Il lavoro fece discutere per la sua apparente semplicità e al contempo sofisticata complessità tecnica. Realizzato con cinque negativi — due di alberi, due di colline e uno di cielo — fu esposto alla Photokina di Colonia e acquistato dal Museum of Modern Art di New York.
Negli anni Ottanta Uelsmann pubblicò il volume “A Shadowy realm” (1980) con 50 tavole in bianco e nero, stampate su carta baritata e montate su passepartout. Ogni fotografia era accompagnata da note sul numero di esposizioni e sugli ingranditori utilizzati, dando al libro la valenza di un trattato di darkroom engineering e di poetica visiva.
Il progetto “Transparent Grey” (1988) lo vide esplorare la tonalità intermedie, usando una carta baritata di grade 2 leggermente sovraesposta e stampando con un filtro di contrasto 1 per privilegiare i mezzitoni. Le immagini, di grandissimo formato (fino a 120×90 cm), includevano paesaggi marziani e scene architettoniche alte, ottenute con pellicola panchromatica Velvia 50 in bracketing di esposizione e fusione in camera oscura di tre strati.
Durante gli anni Novanta realizzò la serie “Scenic Still Lifes” (1994–1997), in cui elementi da natura morta — clessidre, specchi, statuine — venivano inseriti in paesaggi artificiali. Usò una Hasselblad 503CW per scatti ravvicinati ancora su pellicola 120 e portò in camera oscura un workflow ibrido: stoccaggio digitale dei provini tramite scanner drum a 4.000 dpi, ma stampa esclusivamente analogica su baritata con bagni di sviluppo a freddo per aumentare la grana artistica.
Gli ultimi grandi lavori, presentati dopo il 2000 in mostre retrospettive come “Projections” (2005) e “Complex Reality” (2012), riunirono immagini classiche con nuove composizioni, stampate su carta cotone 320 g/m² con inchiostri pigmentati per giclée, a riaffermare il valore della materialità fotografica.
Visione artistica e contributo
Jerry Uelsmann ha offerto alla fotografia una dimensione metafisica e un metodo rigoroso al contempo. Il suo lavoro ha insegnato che la camera oscura può diventare uno spazio creativo altrettanto vasto di un atelier di pittura. Dalla scelta dei formati (35 mm, 120, 4×5, 8×10), alle tecniche di compositing in tempo reale, fino all’uso di griglie, filtri e maschere, ha saputo unire la padronanza tecnica con una visione poetica.
Uelsmann ha inoltre influenzato generazioni di fotografi e artisti digitali, che hanno tratto ispirazione dalle sue composizioni analogiche per i primi software di fotoritocco. Ha dimostrato come il riguardo per i processi chimici e la misurazione accurata possano convivere con l’invenzione di mondi surreali, gettando le basi per un’arte fotografica in cui il confine tra reale e immaginario si fa sottile come un’inquadratura al buio.