Gertrude Stanton, poi nota come Käsebier, nacque il 18 maggio 1852 a Fort Des Moines, nello Iowa, in un’America ancora segnata dall’espansione verso Ovest e dalle trasformazioni della Guerra Civile imminente. Suo padre, John Stanton, era un commerciante benestante che si trasferì con la famiglia in Colorado, dove Gertrude trascorse parte della sua infanzia. Dopo la morte del padre, la madre si risposò e la giovane visse in un ambiente familiare ricco di stimoli ma anche segnato da cambiamenti continui.
Nel 1874 sposò Eduard Käsebier, un imprenditore di origine tedesca. L’unione, pur garantendole stabilità economica, fu difficile sul piano personale: le cronache raccontano di un matrimonio infelice, con tensioni che spinsero Gertrude a cercare nell’arte e nella fotografia una forma di emancipazione. La coppia ebbe tre figli, e la maternità divenne uno dei temi centrali della sua produzione fotografica.
Il percorso formativo della Käsebier fu relativamente tardivo. Solo verso i quarant’anni, con i figli ormai cresciuti, decise di dedicarsi seriamente all’arte visiva. Frequentò la Pratt Institute di Brooklyn, una delle scuole d’arte più innovative del periodo, dove studiò pittura e successivamente fotografia sotto la guida di docenti come Arthur Wesley Dow. Questo approccio accademico e multidisciplinare le fornì un bagaglio culturale solido, che combinava conoscenze tecniche con un interesse per la composizione pittorica e simbolica.
La scelta della fotografia non fu casuale: in un’epoca in cui il mezzo era ancora considerato un territorio in bilico tra scienza e arte, Gertrude colse l’opportunità di affermarsi come professionista e artista. Aprì il suo primo studio fotografico a New York nel 1897, dedicandosi a ritratti e scene domestiche, con uno stile che presto avrebbe attirato l’attenzione internazionale.
Käsebier morì a New York il 12 ottobre 1934, all’età di 82 anni. La sua lunga carriera coprì quasi mezzo secolo, un periodo cruciale per l’evoluzione della fotografia come forma d’arte, e la sua figura rimane oggi un punto di riferimento nello studio della storia della fotografia americana.
Il ritratto come linguaggio: tecnica e poetica
Il genere in cui Käsebier eccelse fu il ritratto fotografico. A differenza della tradizione ottocentesca, che privilegiava l’impostazione frontale e la staticità, la fotografa statunitense sviluppò un linguaggio più intimo, capace di restituire la personalità del soggetto.
Dal punto di vista tecnico, lavorava prevalentemente con lastre di vetro al collodio umido nei primi anni e successivamente con processi a secco e carte alla gelatina d’argento. Le sue stampe rivelano una particolare attenzione ai toni morbidi e sfumati, ottenuti attraverso procedimenti di stampa come la gomma bicromata e la platinotipia, che le consentivano di modulare i contrasti e conferire un aspetto pittorico alle immagini.
La luce era uno degli elementi chiave del suo stile. Käsebier utilizzava spesso la luce naturale proveniente da grandi finestre, filtrata e diffusa con tende o pannelli, per creare atmosfere soffuse e delicate. Questo le permetteva di ottenere ombre leggere e modellare i volti con una tridimensionalità sottile, lontana dalla durezza dei ritratti da studio con luce artificiale.
Nella posa dei soggetti, Gertrude privilegiava un approccio naturale: non cercava la rigidità della posa classica ma un atteggiamento spontaneo, spesso colto in momenti di introspezione. Il risultato era un’immagine che univa il rigore compositivo a una dimensione psicologica profonda.
Uno dei suoi ritratti più celebri è quello della scultrice Augusta Saint-Gaudens, in cui la fotografa riesce a trasmettere non solo l’aspetto fisico ma anche la forza interiore dell’artista. Analogamente, i suoi ritratti di madri e bambini rivelano una straordinaria capacità di cogliere la tenerezza e la complessità del rapporto familiare.
Käsebier credeva fermamente che la fotografia dovesse andare oltre la mera somiglianza fisica. Per lei, l’immagine fotografica era uno strumento per esprimere valori morali ed emozionali, un mezzo per indagare la condizione umana e il ruolo della donna nella società.
Käsebier e il Pictorialismo
La carriera di Käsebier si intrecciò con il movimento del Pictorialismo, che tra fine Ottocento e inizi Novecento cercò di affermare la fotografia come forma d’arte a pieno titolo. Il Pictorialismo sosteneva l’uso di tecniche e approcci che avvicinassero la fotografia alla pittura e alla grafica, privilegiando morbidezze tonali, composizioni simboliche e atmosfere evocative.
Gertrude Käsebier si impose come una delle figure femminili più rilevanti del movimento. Le sue immagini di madri e bambini, come la celebre fotografia Blessed Art Thou Among Women (1899), incarnavano perfettamente l’estetica pictorialista: composizione equilibrata, luce morbida, significato simbolico legato alla sacralità della maternità.
Sul piano tecnico, la fotografa sperimentò con carta al platino, che le permetteva di ottenere gamme tonali ricche e delicate, e con la gomma bicromata, che offriva la possibilità di intervenire manualmente sull’immagine, accentuando ulteriormente il legame con le arti pittoriche.
Il suo lavoro fu notato da Alfred Stieglitz, figura centrale del Pictorialismo americano e fondatore della rivista Camera Work. Käsebier pubblicò diverse fotografie sulla rivista e partecipò a mostre organizzate da Stieglitz, entrando a far parte del gruppo dei fotografi promossi dalla Photo-Secession. Tuttavia, i rapporti con Stieglitz furono complessi: se da un lato egli apprezzava il talento di Gertrude, dall’altro criticava la sua vocazione commerciale, in particolare il suo lavoro di ritrattista professionista. Käsebier, al contrario, difendeva l’idea che la fotografia potesse essere contemporaneamente arte e mestiere, aprendo così una riflessione importante sul ruolo del fotografo nel mercato culturale.
Questa tensione con Stieglitz portò, negli anni, a un progressivo distacco dalla Photo-Secession, ma non intaccò la reputazione della fotografa, che continuò a esporre e a pubblicare le sue opere a livello internazionale.
Le opere principali e la centralità della maternità
Tra le fotografie più note di Käsebier si trovano lavori che affrontano in maniera diretta il tema della maternità e della femminilità. L’opera “The Manger” (1899), ad esempio, raffigura una madre che guarda teneramente il bambino, con una composizione che richiama iconografie religiose e rinascimentali. L’immagine, pur radicata nella realtà quotidiana, assume una dimensione simbolica e spirituale.
Un’altra fotografia celebre è “The Heritage of Motherhood” (1904), che sottolinea la trasmissione di valori e tradizioni attraverso il legame tra madre e figlia. In questi lavori emerge non solo la sensibilità artistica di Käsebier ma anche la sua riflessione sociale sul ruolo delle donne.
Le sue opere dedicate ai nativi americani rappresentano un altro capitolo importante. Nel 1898 fotografò i Sioux appartenenti allo spettacolo itinerante di Buffalo Bill, cogliendo i volti e le espressioni con uno sguardo rispettoso e dignitoso, lontano dagli stereotipi folkloristici dell’epoca. Queste immagini, pubblicate su riviste e libri, testimoniavano la sua capacità di unire sensibilità etnografica e ricerca estetica.
Dal punto di vista tecnico, molte delle sue opere furono stampate in platinotipia, processo che garantiva stabilità e una gamma tonale ricca di sfumature. Questo le consentiva di esprimere al meglio la delicatezza emotiva delle scene rappresentate.
Oltre alla maternità e alla figura femminile, Käsebier esplorò anche il ritratto maschile, seppure con minore frequenza. Tra i più noti, quello dello stesso Alfred Stieglitz, realizzato con un’intensità psicologica che dimostra la sua capacità di penetrare oltre la superficie esteriore.
Käsebier nella storia della fotografia americana
La figura di Gertrude Käsebier occupa un posto di rilievo nella storia della fotografia americana per diversi motivi. In primo luogo, fu una delle prime donne a ottenere riconoscimento internazionale come fotografa professionista e artista, in un’epoca in cui il campo era dominato da uomini. La sua carriera dimostra come la fotografia potesse costituire uno spazio di emancipazione femminile, offrendo opportunità di visibilità e indipendenza economica.
In secondo luogo, il suo lavoro contribuì a ridefinire il genere del ritratto fotografico, trasformandolo da mera registrazione fisionomica a indagine psicologica e simbolica. Le sue fotografie rivelano una costante ricerca di profondità interiore, ottenuta attraverso scelte tecniche raffinate e un linguaggio visivo personale.
Infine, la sua posizione nel dibattito tra fotografia come arte e come mestiere rimane di grande attualità. Käsebier dimostrò che il fotografo poteva conciliare l’esigenza di un’attività professionale remunerativa con l’ambizione artistica, anticipando questioni che avrebbero accompagnato la fotografia lungo tutto il Novecento.
Le sue opere sono oggi conservate in importanti collezioni, tra cui quelle del Metropolitan Museum of Art di New York, della Library of Congress e del George Eastman Museum, a testimonianza della rilevanza storica e artistica del suo contributo.

Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.