Nel lessico della fotografia contemporanea, le fotocamere per droni indicano l’insieme di soluzioni ottico‑elettroniche progettate per essere integrate su aeromobili a pilotaggio remoto (RPAS/UAS) e capaci di operare in volo con requisiti stringenti di peso, stabilizzazione, telemetria e controllo remoto. La loro natura “nata per l’aria” le distingue nettamente dalle fotocamere tradizionali adattate a posteriori: qui l’ottica, il sensore, il gimbal a 3 assi, l’IMU, la piattaforma di registrazione e il link di trasmissione convivono in un ecosistema integrato che deve garantire qualità d’immagine e affidabilità avionica. In ambito “prosumer” e professionale, il paradigma dominante è quello della camera integrata su gimbal con stabilizzazione attiva, montata su multirotori compatti o su piattaforme cinematografiche dedicati. La fascia alta spinge su sensori di grande formato, registrazione RAW e pipeline ProRes/CinemaDNG, controllo di fuoco/apertura e profili logaritmici a 12–14 stop di gamma dinamica; l’area consumer enfatizza compattezza, autonomia e algoritmi di evitamento ostacoli e di composizione assistita, ma beneficia sempre più di soluzioni fotografiche derivate dal cinema. Lo schema di base resta la separazione del sistema in due insiemi: payload di ripresa e piattaforma di volo. Nelle serie Mavic 3 di DJI, per esempio, il payload è una camera Hasselblad L2D‑20c con sensore 4/3″ da 20 MP, ottica equivalente 24 mm a diaframma variabile f/2.8–f/11, video fino a 5.1K, profili D‑Log/HLG e messa a fuoco da 1 m all’infinito; attorno, la piattaforma garantisce trasmissione O3+ fino a 15 km, sensing omnidirezionale e 46 minuti di volo, parametri che contestualizzano le possibilità fotografiche in uno scenario operativo reale.
Nella fascia cinematografica, l’accoppiata Inspire 3 + Zenmuse X9‑8K Air illustra lo stato dell’arte: sensore full frame da 35,4 MP, registrazioni 8K/25p CinemaDNG e 8K/75p ProRes RAW, 4K/120p senza crop in S&Q, doppio ISO nativo (EI 800/4000 ≤30p; EI 320/1600 >30p), DCCS (sistema colore cinema) e integrazione RTK centimetrica per traiettorie ripetibili in waypoint. L’ariaframe, riprogettato con antennistica, FPV, sensori di visione e slot storage integrati, porta velocità massime di circa 94 km/h, autonomia nell’ordine della mezz’ora e omnidirectional sensing per la sicurezza. La camera usa attacco DL con ottiche leggere in fibra di carbonio (16/24/35/50 mm) e un nuovo 18 mm f/2,8 ottimizzato per 8K, disegnando una piattaforma dove scelta focale e qualità di campionamento sono comparabili a un set cinematografico terrestre, ma in airborne.
Questa integrazione non è un dettaglio ingegneristico: è l’elemento che rende le fotocamere per droni cruciali nel panorama storico della fotografia. Altre tecnologie hanno già fornito visioni dall’alto, ma l’avvento dei droni ha reso ordinaria la possibilità di definire la posizione della camera nello spazio con precisione centimetrica, ripetere un percorso in tempi diversi, variare focale e diaframma in volo e restituire, in tempo reale, un feed 1080p/4K a bassa latenza al direttore della fotografia. La naturalezza con cui oggi si compongono planate che vanno dal nadir allo zenit o si costruiscono parallassi dinamiche intorno a soggetti in movimento è frutto della convergenza tra stabilizzazione meccatronica, sensori grandi e codec a elevata efficienza. Il risultato è un medium capace di innestarsi, senza soluzione di continuità, nella storia dell’aerial imaging: dalle lastre su palloni del XIX secolo alle piattaforme 8K RAW che volano con la stessa rapidità di un set leggero.
Origini storiche
La fotografia aerea nasce molto prima dei droni, come aspirazione a “posare la camera nel cielo”. Nel 1858, il fotografo e aeronauta Gaspard‑Félix Tournachon, noto come Nadar (nato nel 1820 a Parigi e morto nel 1910), realizza dal pallone frenato un’immagine sopra Petit‑Bicêtre, oggi Petit‑Clamart: è il primo scatto aereo documentato, ottenuto con collodio umido e un laboratorio portatile issato nel cesto del pallone. Gli originali non sono sopravvissuti, ma l’atto fondativo è attestato da fonti storiche e da ricostruzioni che collocano a ottobre 1860 la più antica foto aerea pervenuta (Boston, di James Wallace Black). Nadar, che già nel 1855 aveva depositato un’idea di uso cartografico della fotografia aerea, inaugura un orizzonte operativo che influenzerà esploratori, militari e scienziati per decenni.
Pochi decenni più tardi, l’ambizione di sollevare la camera senza pilota trova strade creative. Nel 1888 il francese Arthur Batut (nato nel 1846, morto nel 1918) realizza a Labruguière la prima fotografia aerea con aquilone riconosciuta, utilizzando una ghigliottina a scatto ritardato e un aquilone tailless di oltre due metri. La sua opera del 1890, “La photographie aérienne par cerf‑volant”, formalizza tecnica e potenzialità applicative in agricoltura, archeologia e ricognizione, e fissa una data di nascita per il genere “KAP” (Kite Aerial Photography). Nel primo Novecento, ingegnosità e audacia portano alle immagini di George R. Lawrence del 1906 su San Francisco: un treno di 17 aquiloni solleva una camera panoramica con piastra curva, generando alcune delle più spettacolari vedute aeree analogiche.
Tra il 1907 e il 1908 affiora un’altra pista: l’apotecario tedesco Julius Gustav Neubronner (nato l’8 febbraio 1852, morto il 17 aprile 1932) brevetta una microcamera per piccioni con timer pneumatico e imbrago in cuoio e piastra toracica in alluminio; i colombi, rilasciati anche a 60 miglia, rientrano al colombaio portando negativi aerei che stupiscono il pubblico alle esposizioni di Dresda, Francoforte e Parigi tra il 1909 e il 1911. Il patent tedesco viene concesso nel 1908 dopo iniziali obiezioni sul peso trasportabile da un colombo. Sull’onda, il riconoscimento militare testa il sistema, che la rapida evoluzione della ricognizione su aeroplano renderà presto obsoleto, ma che rimane un capitolo affascinante nella genealogia dei “droni” ante litteram.
La prima guerra mondiale segna la sistematizzazione della fotografia aerea da aeroplano: si sviluppano camere dedicate, stereoscopia con sovrapposizione del 60% e procedure di rilievo. Fra le due guerre, l’aereo diventa piattaforma standard per cartografia e ricognizione, e nella seconda guerra mondiale migliorie a ottiche, riscaldamento e fusoliera spingono l’efficienza operativa. Nel secondo Novecento, la traiettoria culmina nei satelliti e nelle tecniche di remote sensing, ma un secondo filone, parallelo e più vicino alla micro‑aeronautica, germoglia: l’idea di aeromobili senza pilota. In questa storia, l’ingegnere Abraham “Abe” Karem (nato il 27 giugno 1937 a Baghdad) è figura chiave: negli anni Ottanta sviluppa con Leading Systems i droni Albatross e Amber, poi rilevati e portati a maturità da General Atomics come GNAT 750 e, infine, come MQ‑1 Predator, operativo dal 1995. Il Predator, con lunga durata, link satellitare e sensori elettro‑ottici, trasforma il concetto stesso di UAV da curiosità a necessità operativa.
Perché questa genealogia conta per la fotografia? Perché i droni civili con fotocamere integrate — resi celebri da DJI (fondata nel 2006 a Shenzhen da Wang Tao, noto come Frank Wang, nato nel 1980) — non scendono dal nulla: sono l’esito di una lunga maturazione tecnica e culturale che unisce desiderio di vista elevata e automatismi di volo. L’arrivo nel gennaio 2013 del DJI Phantom 1 — quadricottero RTF con NAZA‑M, GPS hold e mount per GoPro — inaugura la stagione della ripresa aerea accessibile. A ottobre 2013 il Phantom 2 Vision integra la camera; nel 2015 la famiglia Inspire 1 introduce la camera removibile su gimbal 3 assi; nello stesso anno i Zenmuse X5/X5R segnano l’esordio delle prime Micro Quattro Terzi progettate appositamente per l’aria, aprendo la strada a sensori più grandi e a pipeline professionali. Questo passaggio dalla camera “presa in prestito” a quella nata per volare coincide con la nascita ufficiale del settore come lo intendiamo oggi.
Evoluzione tecnologica
Il percorso evolutivo delle fotocamere per droni si può leggere come successione di espansioni di formato, raffinamenti di stabilizzazione e integrazioni di workflow. All’inizio, i droni consumer abbinavano sensori da 1/2,3″ a gimbal sempre più maturi; il Phantom 2 Vision+ (2014) introduce gimbal 3 assi e controllo app, mentre la serie Phantom 4 Pro (2016) porta un 1″ da 20 MP con otturatore meccanico, utile per evitare rolling shutter in sorvoli veloci e mapping fotogrammetrico. La rivoluzione però è la modularità cinematografica: con i Zenmuse X5/X5R (2015), Micro Quattro Terzi da 16 MP, video 4K e, nella variante R, CinemaDNG RAW fino a 1,7 Gbps, controllo wireless del fuoco e dell’apertura, nasce la prima camera mirrorless pensata per l’aria; la compatibilità con lenti MFT e l’adozione di profili log danno agli operatori un set cinematografico volante.
Nel 2017, con Zenmuse X7, si compie il salto a Super 35: 6K CinemaDNG, 5.2K ProRes fino a 30p, 14 stop dichiarati, nuovo attacco DL a flange 16,84 mm, set di prime 16/24/35/50 mm f/2,8 in carbonio, D‑Log e D‑Gamut co‑sviluppati con Technicolor per coerenza cromatica con camere di fascia cinema. Un anno dopo, l’aggiornamento porta Apple ProRes RAW e 14‑bit CinemaDNG: per la prima volta, una camera aerea integrata si comporta come un cervello d’immagine da set, con LUT, spazi colore e gestione del metadata EI tipici delle cineprese. I test indipendenti collocano il sensore X7 tra i migliori APS‑C/Super35 del periodo, confermando che l’aumento di formato si traduce in DR, colore e low‑light superiori.
Il capitolo successivo arriva nel 2023: Inspire 3 integra la X9‑8K Air a pieno formato con CineCore 3.0 e registrazione interna fino a 8K/25p CinemaDNG e 8K/75p ProRes RAW, oltre a 4K/120p senza crop in S&Q. L’EI duale (800/4000 sotto 30p; 320/1600 sopra) e il claim di 14+ stop collocano la qualità a livelli da cinema maggiore; la piattaforma introduce RTK e Waypoint Pro, che trasformano il drone in testa motorizzata 3D: rientro su traiettorie identiche, velocità e punti di messa a fuoco ripetibili con precisione centimetrica. Il nuovo FPV con 161° e sensore 1/1,8″ “night‑vision” migliora la pilotabilità in condizioni critiche; la trasmissione O3 Pro estende il live feed 1080p60 fino a 12–15 km con latenze nell’ordine dei 90 ms o 4K/30p a 5 km, integrando un monitor RC Plus da 1.200 nit per operatività all‑weather. Il risultato più importante, dal punto di vista fotografico, è la coerenza del workflow: CineDNG/ProRes RAW in macchina, LUT consistenti e matching con la Ronin 4D; l’intero pacchetto si inserisce senza frizioni nel pipeline di post delle produzioni.
Parallelamente, il segmento prosumer ha metabolizzato sensori più grandi “in tasca”. Il Mavic 3 (annunciato 4 novembre 2021) inaugura su un foldable una Hasselblad 4/3″ con 5.1K/50p, apertura variabile, 12‑bit RAW foto, D‑Log 10‑bit video e modalità notturne, combinando autonomia di 46 minuti, O3+ e omnidirectional sensing in una piattaforma di 900 g circa. Con la variante Classic, lo stesso payload principale diventa più accessibile; con la Pro, la tri‑camera estende la gamma d’uso, ma l’elemento che conta storicamente è la discesa del formato 4/3″ su droni ripiegabili, segnando una nuova normalità per la fotografia aerea leggera.
Sul piano industriale e del rilievo, mentre gli “all‑in‑one” avanzano, continua la crescita dei payload specialistici: sensori medio formato per mapping a 150 MP e otturatori global/meccanici per fotogrammetria, camere termiche e multispettrali, e, nel comparto cinematografico, la tendenza a integrare color science proprietarie con LUT compatibili con i flussi di grading più diffusi. La traiettoria comune è chiara: integrazione verticale tra camera e drone, formati crescenti con ottiche dedicabili, stabilizzazione sempre più raffinata e pipeline RAW in macchina, così che la differenza tra presa aerea e presa terrestre sia sempre più una scelta di linguaggio e sempre meno una barriera tecnica.
Caratteristiche principali
Una fotocamera per droni si riconosce da un nucleo di caratteristiche strutturali che definiscono qualità e usabilità. La prima è il formato del sensore, che incide su rumore, gamma dinamica e tenuta ISO. Nei foldable di fascia alta, il 4/3″ con 20 MP (come sulla Mavic 3) rappresenta oggi un compromesso eccellente fra risoluzione e peso, abilitando 5.1K e profili a 10‑bit; nelle piattaforme cinema, il Super 35 (X7) e il full frame (X9‑8K Air) portano le capacità in linea con i set di terra: 6K/5.2K o 8K in RAW e ProRes, color science dedicata e EI duale per ottimizzare le riprese in diurna e crepuscolare. La seconda è l’ottica: i sistemi intercambiabili con attacco DL e lenti prime leggere consentono la costruzione della prospettiva in volo, dal 16 mm con ND interno al 50 mm con otturatore meccanico, modificando la percezione del parallasse e l’isolamento del soggetto.
La terza caratteristica è la stabilizzazione: i gimbal a 3 assi con IMU ad alta frequenza e algoritmi di compensazione predittiva sono il cardine della fluidità cinematografica. Nelle piattaforme professionali, la stabilità è coadiuvata da rigidità strutturale del frame e da un bilanciamento fine del baricentro della camera; in quelle consumer, l’efficacia del gimbal si combina con EIS e lettura veloce del sensore per contenere il rolling shutter. In casi come Phantom 4 Pro, l’otturatore meccanico ha fatto scuola per la fotogrammetria e l’architettura, dove le deformazioni da scorrimento sarebbero inaccettabili.
La quarta è il codec. La compressione definisce la vita del file in post. In ambito prosumer, H.264/H.265 con profili 10‑bit e D‑Log/HLG garantiscono flessibilità di grading; in cinema, CinemaDNG e ProRes RAW interni — fino a 8K — spostano il collo di bottiglia dalla camera al flusso di archiviazione, ma consentono un controllo totale su ISO virtuale, bilanciamenti e ricostruzione del colore. L’aggiornamento della X7 a ProRes RAW ha segnato un punto di svolta, rendendo possibile un workflow Apple‑centric sul campo, mentre Inspire 3 integra CineCore 3.0 e PROSSD per sostenere i bitrates e i data rates dell’8K.
La quinta è la trasmissione e il monitoraggio. Nelle serie Mavic 3, O3+ gestisce feed FHD/60 a lunga distanza con latenza ridotta, abilitando framing in tempo reale e sicurezza; nei sistemi cinema, O3 Pro offre 1080p60 fino a ~12–15 km o 4K/30p a 5 km, con controller RC Plus ad alta luminanza e doppio operatore (pilota + camera operator). L’integrazione del RTK con Waypoint Pro e la posizione centimetrica non è un vezzo avionico: significa poter ripetere un carrello in volo identico a distanza di giorni, lockare focus su traiettorie 3D e garantire coerenza nel raccordo di campo.
Infine, contano sicurezza e autonomia: il sensing omnidirezionale con visione stereoscopica e APAS riduce il rischio in spazi complessi; autonomie di 40–46 minuti nei foldable elevano l’efficienza di missione, mentre i sistemi pro adottano batterie hot‑swappable a coppie per volo continuo e gestione “multi‑take”. L’ambiente operativo ama poco le semplificazioni: volo reale significa vento, sole radente, polvere, umidità. Disporre di un payload robusto con color science ripetibile, filtri ND, diaframma variabile e supporti di registrazione affidabili fa la differenza tra un rientro con footage lavorabile e una giornata perduta.
Utilizzi e impatto nella fotografia
L’innesto delle fotocamere per droni nel tessuto della storia fotografica ha due conseguenze: moltiplica gli angoli possibili e trasforma il tempo in una variabile controllabile nello spazio aereo. Nella fotografia di paesaggio, la camera volante sposta il punto di vista dal belvedere al volume d’aria, consentendo di cercare linee di forza e layer di profondità altrimenti inaccessibili; la possibilità di modulare la focale in volo, introdotta da sistemi come X7 e X9‑8K Air, sostituisce l’antico “volo a quota altezza grandangolare” con un vero linguaggio di piani, dove un 35 mm alto su una scogliera racconta il paesaggio con compressione e respiro da cinema. Nella fotografia architettonica, l’uso di otturatori meccanici e RTK ha reso praticabile la fotogrammetria precisa, con nuvole di punti densi e ortofoto a GSD centimetrici; allo stesso tempo, la camera può ri‑mettere in quadro edifici complessi senza palchi o bracci, rispettando linee verticali con correzioni di assetto e roll della piattaforma.
Nel documentario e nel giornalismo visivo, la ripresa aerea — un tempo lusso — è diventata strumento narrativo quotidiano. Il valore non è la “cartolina” dall’alto, ma il movimento contestuale: un dolly‑out aereo che rivela il contesto di un insediamento, un orchestrated reveal che collega il dettaglio alla mappa, un pendolo che passa dal soggetto al suo ambiente. Il fatto di poter monitorare in tempo reale con latenza ridotta e ripetere traiettorie offre continuità narrativa; la disponibilità di D‑Log e HLG anche su droni leggeri facilita l’inserimento nel grading di un documentario multicamera. Con Mavic 3, per esempio, 5.1K e 10‑bit si combinano a omnidirectional sensing per operare in sicurezza in scenari urbanizzati o rurali, mentre le modalità notturne aprono a crepuscoli e scene “available light”.
Nel cinema e nella pubblicità, le fotocamere per droni hanno superato lo status di “ripresa supplementare” per diventare teste principali per carrelli impossibili, orchestrazioni aeree lunghe e travelling focali; i sistemi X7 e soprattutto X9‑8K Air, grazie a 8K RAW, D‑Gamut e matching con la Ronin 4D, permettono continuità cromatica e flessibilità sugli stacchi. La possibilità di stream 4K in set e di lavorare direttamente su proxy o su materiale RAW archiviato su PROSSD accorcia i tempi tra ripresa e dailies, uniformando la pipeline al resto del reparto camera. L’adozione di Waypoint Pro con RTK — volo su path parametrico, ripetibile a centimetro — è uno spartiacque: un operatore può “scrivere” una coreografia aerea come farebbe con un motion control terrestre, inclusi keyframe di focus e timing di curva, mantenendo la qualità di un 8K cinematografico.
Nel rilievo tecnico e nelle ispezioni, i payload fotografici hanno abilitato workflow che coniugano fotografia e metrologia. Ottiche a otturatore meccanico e sensori a ampia dinamica permettono ortofoto prive di distorsioni temporali; piattaforme con RTK e GNSS multi‑costellazione ancorano la fotografia a sistemi di riferimento geodetici. In ambiti come il restauro e la conservazione dei beni culturali, la fotocamera su drone documenta patine, fessurazioni e texture in luci radenti in modo non invasivo; in archeologia, variazioni multispettrali e angolo di vista generano indizi sulla presenza di strutture interrate. Nel reportage naturalistico, la riduzione di peso e il silenzio delle eliche più recenti consentono distanze ethical maggiore dalla fauna, mentre i tele modesti su prosumer (o le prime lunghe su cinema) cambiano radicalmente le possibilità di composizione senza disturbare.
C’è infine un effetto di lungo periodo sul linguaggio fotografico: il drone ha introdotto l’idea dell’asse verticale come dimensione espressiva quotidiana. Dalla vista zenitale alla diagonale alta, la fotografia ha per secoli simulato questi punti di vista con torri, mongolfiere, elicotteri; oggi, l’operatore ragiona in volume e tempo, compone pensando a quote, velocità e ramp di accelerazione del gimbal, e integra nel proprio vocabolario strumenti come ActiveTrack, focus by wire e color management in D‑Log/HLG. Questa normalizzazione non riduce la potenza del linguaggio: la affinata consapevolezza tecnica rende più rigorosa la scelta tra un wide “establishing” alto e un medio lungo in carrello a 30 metri, tra panorami narrativi e micro‑coreografie intorno a un soggetto.
Curiosità e modelli iconici
Tra le curiosità storiche, vale ricordare che la genealogia delle fotocamere per droni parte da soluzioni tanto ingegnose quanto improbabili. Le foto su aquilone di Arthur Batut nella primavera 1888 sono uno degli esempi più riusciti di automazione analogica: micce a lenta combustione calcolavano il ritardo di scatto, e il risultato — “Le Chemin et le Ruisseau” — è oggi conservato al museo a lui dedicato. I piccioni‑fotografi di Julius Neubronner, con il brevetto del 1908, strappano un sorriso ma raccontano un’intuizione: alleggerire la camera, spostare il fotografo dal cielo all’animale, introdurre un timer; tre elementi genealogicamente rilevanti per la nostra idea di camera autonoma. E se ci si chiede perché non siano rimasti strumenti operativi, basta guardare all’arrivo degli aeroplani nella Grande Guerra e alla nascita di una dottrina aerea che farà della fotografia uno strumento d’arma e di mappa.
Nell’epopea UAV moderna, un posto è riservato all’ingegnere Abraham Karem (nato 1937), spesso definito il “padre dei droni”: dalle prove su Albatross e Amber per DARPA alla maturazione del GNAT 750, fino al Predator entrato in servizio nel 1995, la sua opera dimostra che aerodinamica, autonomia e link sono i pilastri di qualsiasi camera volante contemporanea. Non è un caso se la migrazione di concetti dal mondo militare al civile — stabilità, endurance, controllo remoto — abbia accelerato l’affermazione delle fotocamere integrate.
Tra i modelli iconici del mondo consumer, il DJI Phantom 1 (rilasciato 7 gennaio 2013) è la pietra miliare: un RTF che democratizza l’idea di “mettere una GoPro in cielo” con GPS hold e return‑to‑home; la famiglia Phantom 2/3/4 raffina gimbal, sensori e autonomia, culminando in funzioni come otturatore meccanico e profili log su Phantom 4 Pro. Con l’arrivo del Mavic 3 (novembre 2021), il concetto di “foldable pro” con 4/3″ Hasselblad, 5.1K e 46 minuti di autonomia entra nella normalità; la versione Classic rende più accessibile la stessa camera, mentre la Pro estende la versatilità con setup multi‑camera.
Nel professionale, tre tasselli segnano la cronologia: Inspire 1 (2014) normalizza la camera su gimbal rimovibile; Zenmuse X5/X5R (11 settembre 2015) portano il Micro Quattro Terzi e il RAW 4K su piattaforma aerea; Zenmuse X7 (ottobre 2017) inaugura il Super 35 con 6K e ProRes, DL‑mount e D‑Gamut; infine, Inspire 3 (aprile 2023) con X9‑8K Air spalanca l’8K RAW full frame interno e un ecosistema RTK/Waypoint che dissolve il confine tra cine‑drone e camera head. La progressione rappresenta, tecnicamente, la nascita e la maturità della fotografia/cinematografia aerea integrata, con date precise che scandiscono il passaggio dalla soluzione “adattata” alla fotocamera progettata per volare.
Non si può chiudere questa carrellata senza citare alcuni capitoli laterali: il Parrot AR.Drone (2010) accende la scintilla del drone “giocattolo intelligente” e apre al controllo via smartphone; GoPro Karma (2016) tenta di industrializzare il binomio action cam + drone ma si arresta dopo il richiamo e l’uscita di scena nel 2018; Skydio 2 (2019) scommette sull’autonomia di tracking; Autel EVO II (2020) rilancia sul fronte 8K in prosumer. Tutti episodi che, seppure lontani dall’8K RAW, testimoniano una fertilità di ricerca che ha contribuito a consolidare l’idea della camera volante come medium fotografico in sé. All’altra estremità della scala, l’integrazione DJI–Hasselblad (primi investimenti nel 2015, consolidati successivamente) porta in volo color science e logiche di calibrazione di una casa storica, completando il cerchio tra fotografia classica e camera aerea integrata.
Fonti
- Storia della prima foto aerea di Nadar (1858) – Guinness World Records
- Storia della fotografia aerea (palloni, aquiloni, razzi) – PAPA International
- Arthur Batut e la prima fotografia aerea con aquilone (1888) – Guinness World Records
- Julius G. Neubronner e la “pigeon camera” (1907–1908) – The Public Domain Review
- Abraham Karem, il “padre” dei UAV; sviluppo Albatross/Amber/Predator – Smithsonian / Air & Space & NASM
- DJI Phantom: cronologia e rilascio del Phantom 1 (2013) – Wikipedia
- Zenmuse X5/X5R, prime Micro Quattro Terzi aeree e RAW 4K – DPReview / TechCrunch
- Zenmuse X7: Super 35, ProRes/RAW, DL‑mount, 14 stop – DPReview / DJI newsroom
- Mavic 3: sensore 4/3 Hasselblad, 5.1K, autonomia e specifiche – B&H / DJI
- Inspire 3 con X9‑8K Air: 8K/75p ProRes RAW, RTK/Waypoint, O3 Pro – PetaPixel / DJI / Newsshooter
Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.


