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Eadweard Muybridge

Eadweard Muybridge nacque il 9 aprile 1830 a Kingston upon Thames, nel Regno Unito, con il nome di Edward James Muggeridge. In giovane età manifestò un interesse per la tecnologia e le arti grafiche, avvicinandosi prima all’editoria e alla litografia, per poi migrare, a vent’anni, negli Stati Uniti. L’America di metà Ottocento offriva nuove opportunità e Muybridge iniziò a lavorare come libraio e editore a New York e a San Francisco.

Un grave incidente stradale nel 1860 lo costrinse a un lungo periodo di convalescenza e, secondo alcune fonti, ebbe conseguenze sul suo carattere e sulla sua capacità cognitiva, rendendolo più eccentrico e determinato. Al suo ritorno in California intraprese la carriera fotografica, prima dedicandosi a vedute paesaggistiche, poi a immagini sempre più sperimentali.

Muybridge morì il 8 maggio 1904 a Kingston upon Thames, tornando nella città natale dopo decenni trascorsi in America. Fu sepolto nel cimitero locale, lasciando un’eredità che avrebbe profondamente trasformato il rapporto tra fotografia, scienza e arti visive.

Formazione e primi passi nella fotografia

L’ingresso di Muybridge nel mondo della fotografia avvenne intorno agli anni Sessanta dell’Ottocento. Inizialmente, utilizzò le tecniche allora dominanti come il collodio umido su lastra di vetro, che richiedeva un procedimento complesso e delicato. L’operatore doveva preparare la lastra fotosensibile immediatamente prima dello scatto e svilupparla subito dopo, rendendo necessaria una camera oscura portatile. Muybridge padroneggiò questo processo con grande abilità, dedicandosi in particolare alla fotografia di paesaggi.

Le sue prime opere furono dedicate agli scenari spettacolari della California e del territorio americano ancora poco esplorato. Scattò immagini delle cascate Yosemite, delle montagne della Sierra Nevada e dei paesaggi della West Coast, realizzando stampe in formato grande, destinate a circolare nelle esposizioni e nei salotti colti. Queste fotografie, dal punto di vista tecnico, erano caratterizzate da tempi di esposizione molto lunghi, necessari per registrare dettagli nitidi in condizioni di luce naturale.

Muybridge utilizzava grandi macchine da banco, montate su treppiedi solidi, con lastre di vetro di dimensioni fino a 20×24 pollici. Le ottiche, spesso prodotte da produttori europei come Voigtländer o Dallmeyer, garantivano una resa elevata di nitidezza, benché limitata in luminosità. La combinazione di formato ampio e lunga esposizione conferiva alle immagini una straordinaria precisione topografica, rendendole preziose testimonianze visive della geografia americana.

Tuttavia, il suo spirito innovatore lo spinse oltre il paesaggio. Muybridge iniziò a interrogarsi sulle potenzialità della fotografia come strumento per analizzare il movimento, intuendo che la sequenza di scatti poteva rivelare ciò che l’occhio umano non era in grado di percepire. Questo orientamento aprì la strada al capitolo più rivoluzionario della sua carriera.

Carriera fotografica e stile tecnico

Il punto di svolta nella carriera di Muybridge avvenne nel 1872, quando fu incaricato dal magnate delle ferrovie Leland Stanford, ex governatore della California, di verificare fotograficamente se un cavallo al galoppo avesse mai tutte e quattro le zampe sollevate da terra contemporaneamente. La questione, apparentemente aneddotica, richiedeva un metodo scientifico e una tecnologia che allora non esisteva. Muybridge si mise al lavoro per sviluppare un sistema in grado di catturare movimenti rapidissimi.

Dopo anni di sperimentazioni, nel 1877–1878 riuscì nell’impresa: predispose una batteria di dodici fotocamere a lastre, disposte lungo un percorso, ciascuna collegata a un filo che il cavallo attivava passando. Ogni macchina scattava così un’immagine istantanea, con tempi di esposizione di frazioni di secondo, resi possibili dall’introduzione di otturatori meccanici a caduta rapida. Il risultato fu una sequenza che mostrava il cavallo in diverse fasi del movimento, confermando che, durante il galoppo, vi era effettivamente un momento in cui tutte le zampe erano sollevate da terra.

Questo esperimento segnò una rivoluzione tecnica e concettuale: per la prima volta la fotografia si spingeva oltre la rappresentazione statica, diventando uno strumento di analisi scientifica del movimento. Negli anni successivi, Muybridge ampliò il suo sistema, arrivando a utilizzare fino a 24 e poi 48 macchine fotografiche sincronizzate.

Il suo stile tecnico si fondava sull’uso del tempo di esposizione brevissimo, reso possibile da nuovi sistemi otturatori, e sull’organizzazione di dispositivi meccanici complessi per garantire la sequenzialità. Le immagini, stampate su carta albuminata o sotto forma di collotipi, venivano poi montate in tavole sinottiche, in cui il movimento era scomposto in fotogrammi successivi.

Muybridge non si limitò ai cavalli: fotografò atleti, animali domestici, uomini e donne impegnati in gesti quotidiani, nudi maschili e femminili in attività ginniche. Ogni sequenza era un esperimento di fisiologia visiva, ma anche un’opera d’arte in cui la frammentazione del tempo assumeva valore estetico.

Opere principali

La produzione più celebre di Muybridge culminò nel progetto “Animal Locomotion” (1887), pubblicato all’Università della Pennsylvania, dove fu invitato a condurre le sue ricerche. L’opera comprendeva oltre 20.000 fotografie, organizzate in tavole di sequenze che documentavano il movimento umano e animale in una varietà impressionante di azioni.

Un’altra invenzione di enorme impatto fu lo zoopraxiscopio (1879), un apparecchio ideato da Muybridge per proiettare in sequenza rapida le immagini fotografiche su un disco di vetro dipinto. Questo dispositivo è considerato uno dei precursori del cinematografo, in quanto permetteva di restituire l’illusione del movimento. Le dimostrazioni pubbliche del zoopraxiscopio, tenute negli Stati Uniti e in Europa, ebbero grande successo e attrassero anche l’interesse di scienziati, artisti e futuri pionieri del cinema.

Oltre alle sequenze di locomozione, Muybridge continuò a realizzare paesaggi e vedute urbane. Importante è il volume “Panorama of San Francisco from California Street Hill” (1878), una serie di fotografie a 360 gradi che compongono una veduta monumentale della città. Anche in questo caso, la precisione tecnica si univa a un’ambizione documentaria di grande respiro.

Tra le sue opere più note rientrano anche le fotografie realizzate per il volume “The Horse in Motion” (1878) e i cicli dedicati al movimento umano, in cui Muybridge fece posare modelli nudi per studiare i muscoli in azione. Queste immagini ebbero un’influenza enorme non solo sulla scienza, ma anche sulle arti figurative: pittori e scultori come Thomas Eakins e successivamente i futuristi italiani si ispirarono ai suoi studi per rappresentare dinamismo e corporeità.

Ultimi anni e riconoscimento

Negli ultimi decenni della sua vita, Muybridge viaggiò tra Europa e Stati Uniti, presentando i risultati delle sue ricerche in conferenze pubbliche che riscossero enorme successo. Le sue dimostrazioni con lo zoopraxiscopio erano considerate spettacoli al confine tra scienza e intrattenimento, e contribuirono a diffondere la consapevolezza che la fotografia poteva avere un ruolo rivoluzionario nello studio del movimento.

Dal punto di vista accademico, la collaborazione con l’Università della Pennsylvania rappresentò il momento di massimo riconoscimento scientifico. Le sue sequenze fotografiche divennero strumenti fondamentali per fisiologi, medici e artisti. Muybridge produsse inoltre opere editoriali di grande diffusione, raccolte in volumi imponenti che oggi rappresentano pietre miliari nella storia della fotografia.

Ritornato in Inghilterra negli anni Novanta dell’Ottocento, visse a Kingston upon Thames fino alla morte, avvenuta nel 1904. L’interesse verso la sua opera non venne mai meno: già in vita fu considerato un innovatore, ma fu soprattutto nel Novecento che il suo ruolo di precursore del cinema venne pienamente riconosciuto.

Muybridge rimane oggi una figura cardine non solo nella storia della fotografia, ma anche in quella del cinema, della fisiologia e dell’arte moderna. Le sue immagini, al confine tra scienza e creatività, hanno trasformato il modo in cui l’uomo percepisce il movimento.

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