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Edgar Degas e Henri de Toulouse‑Lautrec

I pittori che si servirono della fotografia furono tanti, ed in questo articolo voglio porre l’accento su coloro che, per primi, intuirono l’importanza della “nuova arte” applicata alla pittura.

Edgar Degas

Edgar Degas nacque il 19 luglio 1834 a Parigi in una famiglia della borghesia liberale, immersa in un clima intellettuale che privilegiava l’innovazione. Compì studi giuridici e viaggiò a Roma nel 1856–58, dove si confrontò con l’arte classica e affinò l’occhio per la composizione e la prospettiva. Tornato in Francia, aderì alla Scuola di Barbizon e, successivamente, si avvicinò al gruppo degli Impressionisti, pur mantenendo uno stile più legato alla linea e al disegno.

Tra gli anni Sessanta e Settanta, la fotografia cominciava a diffondersi rapidamente in Europa. Daguerrotipi e calotipi affiancavano le stampe stereoscopiche: immagini ferme e realistiche, suggerendo nuovi modi di cogliere il movimento. Degas seguì con curiosità i primi esperimenti di Nadar e i ritratti di Étienne Carjat. La fotografia lo colpì non tanto per la fedeltà del dettaglio quanto per la capacità di isolare un gesto, un istante, un’inquadratura insolita che la pittura tradizionale faticava a realizzare in tempi rapidi.

Ben prima che la macchina fotografica diventasse un oggetto comune negli atelier, Degas si servì di ritratti fotografici di coriste, ballerine e cavallerizzi per studiare posture, luci e contrasti. Ottenne stampe a contatto da negativi su vetro umido e su carta salata, spesso impresse con tonalità seppia o bluastre, che poi ritoccava con carboncino, pastello o pittura ad olio per calibrare ombre e dettagli. L’uso della fotografia gli permise di superare il limite delle lunghe sedute dal vivo, cogliendo la naturalezza del movimento e la spontaneità della figura.

In questo contesto, la camera oscura divenne strumento di studio per Degas: l’occhio guardava attraverso un vetro smerigliato la scena esterna, mentre la mano tracciava linee guida sul foglio. Questo metodo congiunto di proiezione ottica e disegno a mano segnò i suoi primi schizzi preparatori, in cui l’accuratezza prospettica dialogava con una resa pittorica più libera e nervosa.

A partire dal 1875 Degas intensificò l’uso della fotografia come supporto creativo. Collaborò con amici fotografi come Félix Nadar, da cui ottenne stampe stereoscopiche per studiare la figura umana in movimento da angolazioni insolite. Il procedimento tipico prevedeva:

  • scelta di soggetti in posa naturale (ballerine a riposo, cavalli in stallo, modelle intente a vestirsi)

  • scatto con obiettivi a focale lunga (120 – 150 mm) e tempi brevi (1/50 – 1/100 sec) per congelare l’azione

  • sviluppo su carta salata o albuminata, con emulsioni ortocromatiche sensibili al blu e al verde, capaci di enfatizzare i contrasti di luce

  • stampa di variaci tonalità con bagni di sviluppo e fissaggio in iposolfito

Degas non si limitò a copiare pedissequamente le fotografie: le ritagliava, ne isolava sezioni, ne combinava più esemplari per costruire composizioni composite. Questo assemblaggio visivo anticipò di decenni le tecniche del collage e del fotomontaggio. In molte lastre si notano ritagli netti lungo le gonnelle delle ballerine o i contorni dei cavalli, come se Degas stesse già pensando a un’opera in divenire, in cui il disegno e la pittura avrebbero completato la fotografia.

Un aspetto innovativo della sua pratica fu l’attenzione alle prospettive oblique: Degas prediligeva inquadrature dal basso, ravvicinate, o tagli improvvisi, che trasmettevano tensione e dinamicità. Questo approccio deriva direttamente da esempi fotografici che mostrano la figura umana in primo piano, parzialmente tagliata, con sfondi appiattiti. Nelle sue inquadrature pittoriche emergono ancora oggi quell’interesse per i dubbi prospettici e per l’immediatezza della scena, così come il contrasto di superfici chiare e scure, accentuato dai salti tonali della fotografia monocroma.

Degas sperimentò anche nuovi supporti: fotografie su vetro, stereocopie, mammoth-plates (lastre di grande formato), che gli fornivano risoluzioni varie e permettevano di studiare dettagli minimi (drappeggi, ringhierine, sfumature di pelle). Spesso fotografava in controluce o in luce radente, volendo riprodurre sulla tela effetti di chiaroscuro drammatici, come nei suoi celebri quadri di ballerine illuminate lateralmente.

Il passaggio dalla fotografia alla tela non fu mera imitazione di dettagli, ma un processo di riinterpretazione creativa. Degas guardava la fotografia come a un “calco” della realtà, una traccia su cui innestare la propria visione. In opere come La lezione di danza (1873) e Cavalli da corsa (1880–85), si riconoscono la struttura e la dinamica delle pose studiate fotograficamente, ma la stesura pittorica si carica di energia materica: i pigmenti pastosi, le pennellate oblique, le sfumature spontanee restituiscono un’intensità che supera la freddezza meccanica del negativo.

Spesso Degas realizzava una serie di schizzi a matita e carbotinta su carta preparatoria accanto a una fotografia incollata nel taccuino. Questi studi frammentari servivano a definire il ritmo compositivo: l’orientamento degli arti, l’equilibrio del corpo nello spazio e il rapporto tra figura e sfondo. Solo in un secondo momento riportava sulla tela la struttura, variando però le proporzioni per accentuare il senso di profondità o di movimento.

Le tonalità pastello introdussero un ulteriore elemento di trasformazione: le fotografie in bianco e nero venivano reinterpretate con colori delicati, che enfatizzavano la morbidezza della pelle o la leggerezza del tulle delle gonne. Il contrasto tra il tratto fotografico nitido e la materia pittorica sfumata generava un dialogo continuo tra precisione e vibrazione, che divenne cifra distintiva dello stile di Degas.

Le riproduzioni di negativi su carta salata spesso presentano bordi irregolari, impronte di luce accidentali o segni di dita, elementi che Degas non eliminava ma integrava come “impronte del processo”, testimonianza della co-produzione uomo-macchina.

L’uso pionieristico della fotografia da parte di Degas aprì una nuova stagione per la pittura moderna. I suoi successori – Cézanne, Toulouse-Lautrec, gli espressionisti – raccolsero la lezione del conflitto e dell’integrazione tra sguardo fotografico e gesto pittorico. L’attenzione alla composizione “tagli cinematografici” e alla dinamica spaziale deriva direttamente dalle sperimentazioni di Degas con la macchina fotografica.

A differenza di chi condannò la fotografia come nemica dell’arte, Degas trasformò la minaccia in un’occasione di crescita. Creò un metodo ibrido in cui la fotografia era punto di partenza e la pittura l’atto finale, con sensazioni, emozioni e interpretazione soggettiva che solo la mano dell’artista poteva apportare. Questo modello di lavoro influenzò l’arte del Novecento, dove l’accostamento di media diversi divenne prassi corrente.

Henri de Toulouse‑Lautrec

Henri Marie Raymond de Toulouse‑Lautrec nacque il 24 novembre 1864 ad Albi, nel sud della Francia, in una famiglia aristocratica dall’antico lignaggio. Nonostante una salute cagionevole e uno sviluppo fisico ridotto che lo segnò profondamente, Toulouse‑Lautrec coltivò fin da ragazzo un grande interesse per il disegno e la caricatura. Trasferitosi a Parigi all’inizio degli anni Ottanta, si immerse nell’atmosfera vivace dei cabaret di Montmartre: il Moulin Rouge, il Jardin de Paris e la celebre Goulue diventarono i suoi soggetti prediletti.

Affascinato dalla fotografia che circolava negli studi parigini, Toulouse‑Lautrec comprese presto il valore di quel mezzo come banco di prova per composizioni dinamiche e pose insolite. Collaborò con fotografi di fiducia, commissionando scatti in atelier privati o catturando personalmente scene notturne sui boulevard animati. La pellicola emulsionata, capace di immortalare con istantaneità i soggetti in movimento, si rivelò uno strumento fondamentale per studiare la gestualità teatrale e la fisionomia dei suoi amici ballerini e cantanti.

Toulouse‑Lautrec utilizzò la macchina fotografica per realizzare bozzetti fotografici che lo aiutassero a ricavare pose spontanee in condizioni di scarsa luce. Spesso scattava con pellicole ortocromatiche a lunga esposizione, correndo il rischio di mosso, ma compensando con la scelta di ottiche a bassa apertura (f/8–f/11) che assicuravano una maggiore profondità di campo. Grazie alla camera oscura portatile, allestiva schizzi rapidi sul posto, proiettando su carta i contorni dalle lastre a vetro umido o dagli stampati albuminati, e riportava sul taccuino le forme essenziali della figura umana.

Ancora più significativo fu il suo uso dei provini a contatto: posizionava una lastra negativa in corrispondenza del foglio di disegno a carboncino, tracciando direttamente le sagome delle ballerine in movimento. Questo approccio gli permise di catturare l’energia di un ginocchio piegato, la torsione di un braccio o l’inarcarsi di una schiena mentre il soggetto era catturato in un istante preciso, senza costringere l’artista a un lungo lavoro dal vero.

La grande passione di Toulouse‑Lautrec per la grafica pubblicitaria lo portò a combinare fotografia e pittura in manifesti destinati ai locali parigini. Nei suoi celebri poster per il Moulin Rouge, la capacità fotografica di isolare un soggetto contro fondali sfumati si tradusse in silhouette nette, dove il contrasto tra figure scure e campiture di colore piatto rendeva immediata la comunicazione visiva. L’influenza della fotografia emerge nei contorni netti, nell’assenza di chiaroscuro tradizionale e nell’impiego di superfici monocromatiche delimitate da segni neri molto spessi.

Gli schizzi fotografici si ritrovano poi nei suoi dipinti a olio e nei pastelli, dove Toulouse‑Lautrec accentuava i dettagli salienti e tralasciava il superfluo. Le immagini fotografiche di danzatrici, camerieri e artisti di varietà venivano rielaborate sulla tela con linee nervose, stesure rapide e colori brillanti. I suoi studi dal vivo – in parte fotografici, in parte disegnati a carboncino – alimentavano un proprio lessico visivo fondato su un realismo stilizzato, capace di cogliere l’essenza del personaggio più che l’esatto dettaglio estetico.

L’opera di Toulouse‑Lautrec dimostra come la fotografia non fosse percepita solo come minaccia per la pittura, ma anche come occasione di innovazione. I suoi manifesti e le sue tele contribuirono a ridefinire il rapporto tra immagine commerciale e arte, indicando la strada alla grafica pubblicitaria del Novecento. Il suo metodo di partenza fotografica e ritraduzione pittorica ha avuto vasta eco tra artisti successivi: il futurismo italiano, con le sue composizioni dinamiche, e la Pop Art americana, che sovrappose fotografia e pittura di segno forte, ripresero quegli stessi principi di sintesi e semplificazione.

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