La Nefotaf Camera Co. vide la luce nel 1948 a Weert, nei Paesi Bassi, opera di due intraprendenti tecnici olandesi, Willem Vlijmen e P.C. Bertels. Il secondo dopoguerra aveva ridisegnato il panorama industriale europeo, spingendo molti artigiani e piccole officine a esplorare nuovi mercati. Ambedue i soci avevano maturato esperienza nei laboratori di ricerca applicata del settore fotografico; Vlijmen si era specializzato nelle emulsioni e nei processi di sviluppo su lastra, mentre Bertels vantava una solida competenza nel campo della meccanica di precisione e dell’assemblaggio di componenti ottici. La congiunzione di queste due anime permise di avviare un progetto imprenditoriale in una zona non lontana dai grandi centri industriali di Eindhoven e Maastricht, dove già operavano fornitori di accessori e apparecchiature per la fotografia.
Sin dall’apertura lo stabilimento fu concepito per essere un piccolo impianto artigianale, con una bassa automazione e una forte cura manuale in ogni fase della produzione. Le prime stanze ospitavano una piccola officina meccanica, dedicata alla fresatura dei corpi macchina, e un laboratorio chimico, attrezzato per testare campioni di emulsione viniolosa su lamina metallica. Vlijmen e Bertels optarono per un approccio di produzione limitata, prefissando di non superare qualche migliaio di unità complessive all’anno. L’obiettivo era consegnare prodotti di alta qualità, uniformi nei dettagli costruttivi e precisi nelle tolleranze meccaniche, anziché competere sul piano dei numeri con le grandi industrie tedesche e americane.
Il nome “Nefotaf” fu scelto come anagramma abbreviato di “Netherlands Foto Apparaten Fabriek”, a sottolineare l’orgoglio nazionale e l’identità olandese. Sul mercato locale l’azienda fu subito riconosciuta per l’attenzione prestata al design minimalista delle proprie scatole fotografiche e per la scelta di materiali resistenti alla corrosione, come leghe leggere di alluminio anodizzato e inserti in bachelite per le manopole di avanzamento film. La fase di start‑up si autofinanziò grazie a un prestito bancario contenuto e a un piccolo contributo comunale volto a incentivare le attività produttive nel Limburgo.
Il contesto storico della fine degli anni Quaranta risultava favorevole: la domanda di fotocamere economiche per il pubblico di massa cresceva rapidamente, sostenuta da un forte desiderio di documentare la ricostruzione e i viaggi ricreativi. Nefotaf intuì la necessità di offrire una gamma di box camera di facile utilizzo, compatte e robuste, destinate ai dilettanti e ai turisti in visita in Olanda. Il 1949 vide l’arrivo sul mercato del primo modello, soprannominato “Glory”, una box camera 6×9 cm su film 120, che guadagnò rapidamente popolarità per la sua semplicità di impiego e la qualità delle immagini prodotte. Nei primi due anni l’azienda intensificò la sperimentazione di varianti sul tema base, introducendo controlli di esposizione prefissati e accessori come custodie in cuoio impermeabile.
Il progetto imprenditoriale dei fondatori puntava anche a una rete di distribuzione diretta presso piccoli rivenditori e negozi di souvenir, piuttosto che affidarsi alle grandi catene. Questo consentiva un rapporto immediato tra produttore e cliente, utile per raccogliere feedback e apportare rapide modifiche progettuali. Vlijmen e Bertels stabilirono un sistema di controllo qualità interno che prevedeva prove campo su ogni lotto di apparecchi: venivano effettuate riprese in condizioni di luce variabile e temperature estreme, per verificare la stabilità meccanica e la tenuta chimica delle emulsioni interne.
Dopo i primi tre anni di attività, la Nefotaf Camera Co. si era creata una solida reputazione nei Paesi Bassi e in alcune regioni vicine della Germania occidentale. Il successo iniziale fu incoraggiato dalla capacità di mantenere una produzione artigianale, in contrapposizione alle fotocamere di massa, e di offrire un prodotto percepito come tecnicamente curato, pur a un prezzo accessibile. Il ritratto di quel periodo rimane quello di un’azienda che scommetteva più sulla qualità progettuale che sulla quantità, segnando un capitolo significativo nella micro‑industria fotografica europea del secondo dopoguerra.
Modelli e linee di prodotto
La gamma di prodotti sviluppata da Nefotaf si articolava in una serie di box camera costruite su variante unica di meccanismo interno, ma caratterizzate da differenze estetiche, funzionali e di accessori. Il modello “Fox” fu concepito come entry‑level, dotato di un obiettivo menisco singolo con diaframma fisso e un otturatore a sportello con due tempi di posa prefissati (1/25 s e 1/50 s). Il corpo in alluminio laccato presentava angoli arrotondati e un mirino a cornice semplice, con ottica in vetro smerigliato. La finitura esterna venne studiata per resistere all’umidità tipica dei paesaggi olandesi, applicando un trattamento di passivazione superficiale.
Alla Fox fece seguito la “Glory”, che manteneva le specifiche meccaniche di base ma introduceva un sistema di messa a fuoco a due posizioni (paesaggio e ritratto) e una finestrella per la verifica del numero di fotogramma, importante funzione sul formato 6×9. Gli esemplari prodotti di Glory sono stimati in circa 2.500 unità, realizzati tra la fine del 1948 e il 1949. Il successo di questo modello stimolò la nascita di versioni successive con sinistri nomi storpiati: “Nefox” e “Nefox II”.
Il Nefox incorporava un otturatore migliorato, con lamelle metalliche in luogo del foro a sportello, offrendo un tempo addizionale di 1/100 s e un paraluce retrattile per ridurre i lens flare in controluce. Il design della facciata frontale fu alleggerito da un intaglio ornamentale, associato a una finitura nelle tonalità crema e grigio scuro, che conferiva un aspetto più moderno rispetto alle versioni precedenti. Nella stessa gamma rientrava il “Nefox Lux”, caratterizzato da un blocco ottico rivestito in cromo, che assicurava una lettura più precisa dei tempi di posa e una migliore tenuta dei componenti nel tempo. I vetri ottici, pur rimanendo di fattura semplice, ricevevano un trattamento antiriflesso elementare e un processo di molatura più accurato per migliorare la qualità dell’immagine.
Il modello “Olympic” si distingueva per l’aggiunta di un supporto per cavalletto e di un mirino direzionale a prismi, che consentiva una composizione più comoda in scenari statici. Questo accessorio venne pensato per appassionati di paesaggio e fotografia amatoriale evoluta, pur mantenendo le dimensioni compatte e la facilità di utilizzo tipiche dei box camera. Alcuni esemplari Olympic erano inoltre corredati di un filtro giallo rimovibile, ideale per accentuare il contrasto su pellicole pancromatiche.
Nonostante la semplicità costruttiva, i progettisti Nefotaf introdussero piccole soluzioni ingegneristiche di rilievo: il vano pellicola interno era rivestito con fodere nere antipolvere, riducendo il rischio di contaminazione dell’emulsione; la chiusura a scatto del corpo macchina sfruttava un sistema a incastro brevettato, che assicurava completa tenuta della luce. Il controllo di avanzamento film era gestito da una manopola elicoidale con frizione regolabile, elemento raro per le fotocamere di questa fascia di prezzo.
L’intera famiglia di apparecchi fu concepita come un ecosistema modulare: era possibile adattare maggiori accessori (custodia in pelle, maniglia di trasporto, kit di pulizia) provenienti da un catalogo interno. Gli utenti più esigenti potevano ordinare cupolini intercambiabili con diversi angoli di campo, benché tali opzioni rimanessero riservate a una clientela molto ristretta, data la produzione limitata e i costi aggiuntivi.
Questa linea di box camera rappresenta un esempio di design industriale attento al rapporto fra costi, facilità d’uso e qualità costruttiva. Il posizionamento sul mercato puntava a conquistare sia il turista occasionale, in cerca di un souvenir tecnico qualitativo, sia il collezionista desideroso di gadget fotografici in edizione limitata.
Caratteristiche tecniche
La produzione di ogni Nefotaf iniziava con la lavorazione dei corpi macchina, ricavati da blocchi di alluminio sagomati tramite fresatrici manuali. Ogni semilavorato veniva sottoposto a una serie di passaggi di limatura e levigatura, seguiti da controlli dimensionali con calibri di precisione. Il trasferimento nelle stazioni di assemblaggio prevedeva l’integrazione del gruppo ottico: un semplice menisco in vetro ottico, con lunghezza focale fissa intorno a 100 mm e apertura nominale f/11, veniva incassato in una ghiera metallica avvitata al portottica. I controlli sul lunghezza focale e sulla planarità del vetro si svolgevano con piccoli interferometri a luce LED, una tecnologia all’avanguardia per la piccola scala produttiva dell’epoca.
Il meccanismo dell’otturatore variava a seconda del modello: dalle lamelle a sportello per Fox e Glory, allo shutter a lamina metallica bilanciata su molle temperate per Nefox e Nefox Lux. I tecnici Nefotaf sperimentarono diverse leghe di ottone e acciai temperati per garantire una velocità costante e una lunga durata ciclica. L’otturatore veniva collaudato con un tachigrafo meccanico che misurava la durata dell’apertura su più cicli, assicurando che la deviazione non eccedesse il ±5 % del valore nominale.
L’avanzamento della pellicola, su formato 120, era affidato a un rullo con meccanismo a cremagliera e frizione regolabile, necessario per garantire precisione di 6×9 cm tra fotogrammi. Ogni parte meccanica veniva sottoposta a lubrificazione con grassi fotografici sintetici, scelti per non alterare le proprietà delle emulsioni in caso di fuoriuscite minime. Il vano pellicola era ricoperto di materiale fonoassorbente per ridurre eventuali vibrazioni e rumori interni durante lo scatto.
Lo sviluppo interno non era integrato nel corpo macchina, contrariamente a soluzioni anni ’30, ma le Nefotaf includevano nel kit un piccolo contenitore portatile per il trattamento delle lastre interne di controllo. Gli utenti professionali potevano inviare indietro negativi di prova per ricevere consigli tecnici, un servizio di assistenza pionieristico per l’epoca, che contribuiva a mantenere alta la reputazione del marchio.
La fase di finitura prevedeva l’anodizzazione o la verniciatura a forno del corpo in alluminio, con spessori di film verniciato di 20–30 µm. Particolare cura veniva dedicata al cablaggio interno delle eventuali versioni con mirino ottico illuminato, alimentato da piccole pile a secco. Ogni fotocamera veniva poi imballata in custodie singole con etichette numerate, a indicare l’esclusività di una produzione artigianale limitata.
Il controllo qualità finale era costituito da una sessione di scatto prova in esterno, durante la quale ciascun esemplare doveva produrre almeno sei fotogrammi nitidi, registrando correttamente i tempi di posa e l’avanzamento pellicola. Eventuali difetti conducono al ritiro del lotto e al rilavoro dei componenti incriminati, garantendo un tasso di reso inferiore al 0,5 %.
Questo complesso iter produttivo riflette la filosofia di precisione meccanica e qualità ottica perseguita da Nefotaf Camera Co., che riuscì a distinguersi in un mercato dominato da soluzioni di massa, proponendo un’alternativa di nicchia, tecnica e affidabile.
La strategia commerciale di Nefotaf Camera Co. si basava su una rete di rivenditori indipendenti e sulla presenza diretta in fiere e mercatini del Nord Europa. Il prezzo medio di listino per una box camera si aggirava attorno alle 9–12 fiorini olandesi, un valore competitivo rispetto alle proposte tedesche. Il packaging includeva manuali illustrati e una serie di consigli tecnici per l’uso corretto delle emulsioni e del controllo avanzamento.
Malgrado un avvio promettente, l’azienda dovette presto affrontare una crescente pressione competitiva. I grandi produttori tedeschi e britannici iniziarono a importare in Olanda apparecchiere importate a basso costo, e l’avvento di fotocamere tascabili “snap-shot” con ottiche plastiche ridusse la domanda delle box camera metalliche. A metà anni Cinquanta Nefotaf registrò un calo delle vendite e decisero di non investire in linee di montaggio più automatizzate, per mantenere l’identità artigianale del marchio.
L’ultimo catalogo ufficiale risale al 1954, dopo il quale le comunicazioni divennero sporadiche. Nel 1956 la compagine sociale si sciolse: Bertels lasciò l’attività per dedicarsi alla consulenza meccanica, mentre Vlijmen mantenne aperta un’officina di riparazioni fino al 1960. Gli stock di componenti furono progressivamente smaltiti e alcune decine di apparecchi rimasero invenduti, finendo smembrati o rivenduti come parti di ricambio.
Oggi gli esemplari superstiti di Nefotaf sono oggetto di collezionismo specializzato. I modelli più ricercati includono quelli in finitura Nefox Lux e gli Olympic corredati di filtro giallo originale. Alcuni pezzi sono conservati in musei dedicati alla storia della fotografia nei Paesi Bassi, mentre un archivio di documenti tecnici e manuali originali è depositato presso l’Institute for Photography History di Rotterdam.
Il contributo storico di Nefotaf Camera Co. risiede nella capacità di aver valorizzato un modello di produzione artigianale, introducendo affinamenti tecnici (shutter a lamelle, messa a fuoco multipla, rivestimenti interne antipolvere) che raramente si trovavano in questa fascia di prezzo. L’interruzione dell’attività a metà anni Cinquanta segna la fine di un’epoca in cui la fotografia amatoriale era ancora vincolata a soluzioni meccaniche robuste e a processi chimici gestiti in proprio.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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