mercoledì, 29 Ottobre 2025
0,00 EUR

Nessun prodotto nel carrello.

Mona Kuhn

Mona Kuhn (São Paulo, 1969) è una fotografa brasiliana-statunitense di origine tedesca, riconosciuta a livello internazionale per la sua ricerca sul nudo artistico in ambito di fotografia contemporanea. Nata in Brasile e trasferitasi negli Stati Uniti da giovane, è vivente (nessuna data di morte registrata) e attiva professionalmente a Los Angeles. La sua traiettoria biografica si caratterizza per una formazione transnazionale e trasversale alle arti visive: ha conseguito il BA presso The Ohio State University e ha perfezionato gli studi al San Francisco Art Institute, contesto nel quale la cultura visuale e la tradizione figurativa californiana hanno impresso una svolta alla sua grammatica dello sguardo. Parallelamente alla pratica, Kuhn è Independent Scholar al Getty Research Institute di Los Angeles, elemento che segna un’intersezione fra disciplina storica e processo creativo e che contribuisce alla solidità metodologica del suo lavoro teorico e curatoriale.

L’arrivo negli Stati Uniti — biograficamente collocato dalle fonti attorno alla fine degli anni Ottanta — rappresenta un passaggio essenziale: segnala il transito da un orizzonte culturale sudamericano, stratificato e sincretico, a un ecosistema artistico nordamericano orientato alla sperimentazione e al dialogo istituzionale. Diversi profili istituzionali indicano che l’esperienza formativa di Kuhn si sviluppa già nei primi anni Novanta fra Ohio e California, con un’attenzione crescente per la relazione tra corpo e luce quale lessico primario del linguaggio fotografico. Questa doppia geografia, intrecciata alle radici tedesche, spiega in parte la sua idea di canone senza tempo: il corpo non come oggetto iconografico, ma come sede fenomenologica del vedere e dell’essere visti, secondo una postura che intreccia fenomenologia dell’immagine e antropologia dello sguardo.

La costruzione del profilo pubblico di Kuhn è scandita da una serie di monografie fotografiche che danno coerenza editoriale alla sua ricerca: Photographs (Steidl, 2004) segna il debutto librario; seguono Evidence (Steidl, 2007), Native (2010), Bordeaux Series (2011), Private (2014), She Disappeared into Complete Silence (2018/19) e Bushes & Succulents (Stanley/Barker, 2018). Una retrospettiva intitolata Works (Thames & Hudson, 2021) ricapitola due decenni di produzione, mentre Kings Road (Steidl, 2021) apre un capitolo di dialogo con l’architettura, in particolare con la Schindler House (Rudolph M. Schindler, 1922), affrontata come palinsesto di memoria, progetto e rappresentazione. L’apparato bibliografico formalizza l’evoluzione di una poetica, definendo un campo semantico coerente in cui il nudo contemporaneo è ripensato attraverso solarizzazioni, trasparenze e un uso analitico del colore.

Al riconoscimento critico si affiancano incarichi accademici e attività didattiche: Kuhn figura con docenze occasionali presso UCLA e ArtCenter College of Design (Pasadena), a testimonianza di una pratica pedagogica che trasferisce in aula procedure, criteri formali e protocolli etici di collaborazione con i soggetti ritratti. Nel 2021 riceve il Stieglitz Award (Los Angeles Center of Photography), riconoscimento che valorizza la qualità della sua opera e il contributo alla comunità fotografica di Los Angeles. La giornata di premiazione è contestuale a un allestimento con stampe di grande formato e a un programma di incontro con il pubblico, segnando una fase di consolidamento istituzionale della sua figura.

Sul piano espositivo, la circolazione internazionale del suo lavoro comprende sedi come Louvre e Le Bal (Parigi), Whitechapel Gallery e Royal Academy of Arts (Londra), Musée de l’Elysée (Losanna), Leopold Museum (Vienna), oltre a istituzioni statunitensi quali J. Paul Getty Museum, LACMA, Hammer Museum e Pérez Art Museum Miami, con presenze anche in collezioni museali giapponesi e cinesi. Questa rete di esposizioni e acquisizioni istituzionali, oltre alla rappresentanza presso gallerie in USA, Europa e Asia, delinea un posizionamento maturo nella arte fotografica contemporanea, capace di dialogare con ambiti curatoriali eterogenei: dalla tradizione figurativa europea alle pratiche concettuali statunitensi.

Nell’ultimo decennio il baricentro della sua produzione si colloca fra Los Angeles e contesti europei, con progetti che intersecano storia dell’architettura (la serie e il libro Kings Road) e immaginari femminili (come in Bushes & Succulents). Il stile fotografico di Mona Kuhn si definisce attraverso un rapporto fiduciario con i soggetti, spesso amici e collaboratori, e un’attenzione alla privacy come soglia concettuale tra intimità e rappresentazione, tema sviluppato in libri come Private e nell’approfondimento curatoriale di Works. La biografia di Kuhn, in conclusione, non è mero sfondo: ne motiva il metodo (relazione, gradualità, luce naturale), informa la tecnica (dal banco ottico alle stampe argento solarizzate) e orienta le scelte tematiche (identità, tempo, vulnerabilità, presenza).

Stile fotografico e poetica visiva

Il stile fotografico di Mona Kuhn è riconoscibile per una matrice figurativa che tratta il corpo come architettura vivente, in cui luce, pelle e spazio costituiscono elementi strutturali, non accessori. La luce naturale è impiegata come dispositivo di modellazione e come “medium nel medium”: non solo illumina, ma struttura la composizione, delimitando campi cromatici e relazioni tra figure, oggetti e sfondo. La fotografia, in questo assetto, assume un carattere pittorico dichiarato, nella misura in cui costruisce piani e volumi con una sensibilità vicina alla pittura tonale e alla tradizione del Bay Area Figurative Movement. I riferimenti dichiarati dalla stessa autrice — Richard Diebenkorn per la composizione, Lucian Freud per la relazione con il modello, Georgia O’Keeffe per la qualità allusiva della forma, Lee Miller per il coraggio sperimentale — orientano la lettura della sua poetica entro un orizzonte transmediale.

Sul piano tecnico, Kuhn alterna colore e bianco e nero con consapevolezza delle implicazioni percettive: la solarizzazione — tecnica storicamente associata alle ricerche surrealiste e a Man Ray — viene re-impiegata in modo contemporaneo, come filtro critico per tenere insieme traccia e apparizione, documento e immaginazione. Questo è evidente nelle opere legate a Kings Road, dove stampe gelatina d’argento solarizzate introducono una figura femminile fantasmata, costruendo un racconto sospeso che interroga la natura indicale della fotografia e la sua pretesa di registrazione oggettiva. In parallelo, la trasparenza (vetri, specchi, superfici riflettenti) diviene un topos iconografico con funzione epistemica: duplicare, rifrangere, sdoppiare non è espediente estetico, ma modo per tematizzare identità e relazione tra corpo e ambiente.

Dal punto di vista metodologico, il processo di Kuhn è guidato da una etica della relazione: costruire fiducia con i soggetti, spesso nel corso di residenze o soggiorni prolungati, significa trasformare la sessione in co-presenza e attribuire all’autorevolezza del soggetto un ruolo co-autoriale. Le serie Evidence (in parte realizzata in un contesto naturista francese), Native (ritorno in Brasile) e Bordeaux Series (ambientazione domestica in Francia) illustrano la capacità di radicare l’immagine in un luogo non scenografico, ma esperienziale, generando posture, gesti e sguardi non performativi. Tale procedura dissolverebbe, nell’interpretazione di molti curatori, il confine fra ritratto posato e ritratto ambientale, aprendo a una lettura fenomenologica del nudo: il corpo non come oggetto d’osservazione, ma come soggetto agente nello spazio.

La direzione concettuale degli ultimi anni mostra una progressiva astrazione del dispositivo figurativo. In She Disappeared into Complete Silence l’enfasi sulle intermittenze luminose e sulle eclissi del volto e del corpo orienta il nudo verso una presenza intermittente, dove l’identità è affermata per sottrazione. In Bushes & Succulents, il parallelismo formale fra anatomie vegetali e morfologie femminili è modulato tramite inquadrature ravvicinate, profondità di campo ridotte e una tavolozza attenuata che evita la retorica del decorativo; il riferimento alla tradizione o’keeffiana chiarisce la dimensione meta-iconografica del progetto: il nudo artistico non come mera esposizione, ma come metafora del rapporto tra organico e paesaggio.

La dimensione editoriale agisce come strumento critico della poetica: la cura del libro fotografico — impaginazione, rapporto tra immagine singola e sequenza, profilo dei testi critici — funge da estensione del progetto visivo e ne definisce la leggibilità. La retrospettiva Works (Thames & Hudson, 2021) consolida il canone autoriale grazie a saggi di curatori e storici (fra cui Rebecca Morse e Simon Baker), storicizzando il contributo di Kuhn all’orizzonte della fotografia contemporanea e permettendo un riallineamento delle letture critiche con l’evoluzione effettiva della produzione. All’opposto, Kings Road fa emergere l’intertestualità con l’architettura attraverso documenti d’archivio (carteggi, blueprint, appunti) e prove di stampa che integrano narrazione e ricerca, mentre le esposizioni correlate — fra cui Kunsthaus Göttingen 2023 e mostre in gallerie e musei negli USA ed Europa — hanno illustrato la dimensione multimediale del progetto (suono, proiezioni, installazioni).

In sintassi estetico-critica, l’opera di Kuhn agisce sul confine: tra privato e pubblico, intimità e rappresentazione, realismo e astrazione. La arte fotografica diviene così luogo di un patto fra autrice, soggetti e spettatori: il nudo non è mai oggettualizzato, ma riconosciuto nella sua dignità e agency. Questa posizione, sostenuta da anni di mostre e acquisizioni museali, rende Kuhn una figura di riferimento nel dibattito sul nudo contemporaneo, con un impatto che travalica il solo ambito della pratica, investendo questioni disciplinari (statuto dell’immagine), etiche (consenso, vulnerabilità, cura) e storiche (ri-scrittura del canone figurativo in chiave inclusiva).

Le Opere Principali

L’itinerario autoriale di Mona Kuhn si articola in serie e monografie che, pur autonome, compongono una costellazione coerente di temi, luoghi e soluzioni formali. Di seguito una mappa ragionata delle opere principali di Mona Kuhn, con nota al contesto e ai dispositivi tecnici adottati.

  • Photographs (Steidl, 2004). La prima monografia dispone i presupposti della poetica: nudo in luce naturale, costruzione pittorica dell’immagine e un registro tonale che non punta all’effetto, ma a un equilibrio tra presenza e sospensione. La scelta di Steidl come editore segnala sin dall’esordio una ambizione curatoriale e un orientamento internazionale; la ricezione critica colloca subito Kuhn entro il campo della monografia d’autore come forma di ecdotica visiva.
  • Evidence (Steidl, 2007). Considerata tra le serie che l’hanno fatta conoscere, si sviluppa in buona parte in un contesto naturista francese: i corpi si muovono in ambienti en plein air e interni essenziali, con un uso della profondità di campo che alterna nitidezza del dettaglio e sfocature atmosferiche. Il titolo allude a un registro forense ribaltato: invece di provare un fatto, “evidence” documenta la traccia dell’esperienza — corpi a misura di paesaggio e paesaggi che agiscono come corpi. Diverse gallerie ne hanno sottolineato il carattere lirico e l’inedita serenità del nudo, sottratta al voyeurismo per restituirla a un patto di fiducia.
  • Native (2010). Il ritorno in Brasile consente a Kuhn di confrontarsi con geografie affettive e lumi tropicali: emerge un dialogo stretto tra epidermide e umidità dell’aria, una permeabilità che fa dell’immagine un campo poroso dove intimità e ambiente si compenetrano. La struttura sequenziale del libro mostra la transizione da ritratti a quadri ambientali, mantenendo un ritmo visivo che alterna vicinanze e lontananze come respiri.
  • Bordeaux Series (Steidl, 2011). Ambientata in una dimora di campagna nel sud-ovest francese, esplora la domesticità come soglia del vedere. Il dispositivo è minimale: interni, luce radente, texture delle pareti, nudi che si posano sui mobili come se fossero elementi d’arredo viventi. L’edizione è curata in modo quasi architettonico (formato quadrato, carta opaca, cromie misurate), e sottolinea la volontà di Kuhn di considerare il libro non come contenitore, ma come progetto.
  • Private (2014). Il titolo introduce il tema del confine tra sfera privata e pubblico dell’immagine. La costruzione semi-rituale delle pose parla di fiducia e autodeterminazione; il nudo è “timeless” ma non anonimo: ogni soggetto conserva storia, relazioni, idiosincrasie, restituite senza esotismi. L’opuscolo visivo ragiona sul concetto di privacy come diritto e risorsa compositiva.
  • She Disappeared into Complete Silence (2018/2019). Il titolo, debitore di un’opera di Louise Bourgeois, annuncia lo spostamento verso il limen fra visibile e invisibile: figure parziali, rifrazioni, ombre dense come materia. Qui la solarizzazione si fa centrale, non come vezzo formale ma come tecnica critica per trattare la presenza che si sottrae. Dal punto di vista editoriale, il volume è pensato per oscillare tra narrazione e atlante di prove, accogliendo il lettore in una camera chiara concettuale.
  • Bushes & Succulents (Stanley/Barker, 2018). Il corpo femminile è accostato a morfologie botaniche; l’equivoco percettivo — petali, foglie, pieghe di pelle — è il motore dell’immagine. La critica ha messo in relazione il progetto con O’Keeffe e con la storia dei femminismi, riconoscendo in Kuhn una scrittura visiva che depone l’esplicito a favore del metaforico. La stampa è calibrata su mezzi toni e transizioni morbide, per evitare contrasti drammatici e sostenere una erotica della forma più che del contenuto.
  • Works (Thames & Hudson, 2021). Retrospettiva editoriale che offre una sistematizzazione storica della produzione, con testi critici che collocano Kuhn nella genealogia del nudo contemporaneo e della arte fotografica figurativa post-anni Novanta. L’impianto è cronologico-tematico, utile per verificare continuità e discontinuità: la costanza della luce naturale e la progressiva astrazione del dispositivo iconico.
  • Kings Road (Steidl, 2021). È uno snodo concettuale: architettura, archivio e narrazione si intrecciano nella Schindler House di Los Angeles (1922). Il progetto — sviluppato con accesso a blueprint, lettere e appunti — si concretizza in un libro e in mostre (tra cui Kunsthaus Göttingen 2023), con stampe solarizzate che introducono un personaggio femminile semi-trasparente: una musa evocata dai carteggi di Schindler. L’operazione interroga la fotografia come registro e finzione, con un palinsesto di immagini a colori e argentiche che rinegoziano tempo e spazio. Dal punto di vista editoriale, il volume (160 pp., formato 24,5 × 31 cm) testimonia l’attenzione di Kuhn alla progettazione del libro come oggetto.

Sul fronte istituzionale, la presenza in collezioni come J. Paul Getty Museum, LACMA, Hammer Museum, PAMM Miami, MFA Houston e in musei internazionali (Kiyosato Museum, Lianzhou Photography Museum) certifica una storicizzazione in corso dell’opera; il circuito espositivo comprende Louvre, Le Bal, Whitechapel Gallery, Royal Academy of Arts, Musée de l’Elysée, Leopold Museum, The Polygon Gallery, fra altri, a indicare una ricezione transnazionale sia in ambito museale che nelle gallerie. Tale rete ha contribuito a consolidare la pertinenza delle sue monografie fotografiche nel canone editoriale contemporaneo.

Un ulteriore capitolo riguarda riconoscimenti e attività connesse: il già citato Stieglitz Award 2021 conferito dal Los Angeles Center of Photography (LACP) — con comunicazione ufficiale e mostra connessa — e attività di formazione e masterclass a dimostrazione della funzione pubblica che l’autrice esercita nel sistema dell’arte, trasmettendo metodi e pratiche alle generazioni successive. In prospettiva storico-critica, le opere principali di Kuhn delineano un percorso coerente di ricerca sul nudo, che dalla figurazione atmosferica degli esordi giunge a una meta-figurazione in cui la presenza si negozia con assenze e tracce, aprendo a un dialogo con architettura, letteratura d’archivio e storia delle tecniche.

Fonti 

Curiosità Fotografiche

Articoli più letti

FATIF (Fabbrica Articoli Tecnici Industriali Fotografici)

La Fabbrica Articoli Tecnici Industriali Fotografici (FATIF) rappresenta un capitolo fondamentale...

Otturatore a Tendine Metalliche con Scorrimento Orizzontale

L'evoluzione degli otturatori a tendine metalliche con scorrimento orizzontale...

La fotografia e la memoria: il potere delle immagini nel preservare il passato

L’idea di conservare il passato attraverso le immagini ha...

La Camera Obscura

La camera obscura, o camera oscura, è un dispositivo ottico che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della scienza e della fotografia. Basata sul principio dell’inversione dell’immagine attraverso un piccolo foro o una lente, è stata studiata da filosofi, scienziati e artisti dal Medioevo al XIX secolo, contribuendo all’evoluzione degli strumenti ottici e alla rappresentazione visiva. Questo approfondimento illustra la sua storia, i principi tecnici e le trasformazioni che ne hanno fatto un precursore della fotografia moderna.

L’invenzione delle macchine fotografiche

Come già accennato, le prime macchine fotografiche utilizzate da...

La pellicola fotografica: come è fatta e come si produce

Acolta questo articolo: La pellicola fotografica ha rappresentato per oltre...

Il pittorialismo: quando la fotografia voleva essere arte

Il pittorialismo rappresenta una delle tappe più affascinanti e...
spot_img

Ti potrebbero interessare

Naviga tra le categorie del sito

Previous article
Next article