Samuel Fosso nacque nel 1962 a Kumba, nel Sud-Ovest del Camerun, in un contesto familiare e culturale segnato dalla ricca tradizione africana e dalle trasformazioni post-coloniali che stavano interessando il paese. Cresciuto in un ambiente permeato da pratiche artigianali e rituali sociali, Fosso sviluppò fin da giovane una sensibilità visiva acuta e un interesse per la rappresentazione della figura umana, influenzato tanto dai ritratti tradizionali locali quanto dalle immagini occidentali che circolavano attraverso riviste, poster e fotografie amatoriali.
All’età di 10 anni si trasferì a Lagos, in Nigeria, dove la vita urbana e multiculturale lo espose a un ambiente artistico e visivo complesso, fatto di influenze locali e internazionali. Qui ebbe i suoi primi contatti con la fotografia in studio, osservando e apprendendo dalle dinamiche di ritrattistica di strada e dai fotografi professionisti locali. La fotografia di studio africana degli anni Settanta era caratterizzata da ritratti attentamente costruiti, spesso teatrali, con uso di costumi, oggetti simbolici e pose codificate, elementi che diventeranno tratti distintivi della poetica di Fosso.
Samuel Fosso iniziò la sua carriera molto giovane: a soli 13 anni allestì il suo primo studio fotografico itinerante, lavorando come fotografo di strada a Lagos. Questa esperienza formativa gli permise di comprendere la relazione tra fotografo e soggetto, la costruzione dell’immagine e l’uso della luce per modellare il volto e il corpo. Fosso sviluppò così una padronanza tecnica precoce, imparando a gestire fotocamere analogiche, luci da studio, sfondi e pose, strumenti fondamentali per la sua successiva carriera internazionale.
L’ambiente culturale in cui operava Fosso era segnato da una fusione tra tradizione e modernità: le comunità locali richiedevano ritratti di cerimonia, fotografie di famiglia e immagini celebrative, mentre la cultura urbana introduceva elementi di modernità occidentale, come costumi, strumenti musicali e simboli di status. Questa contaminazione influenzò profondamente la poetica di Fosso, spingendolo a esplorare il ritratto come spazio di auto-rappresentazione e performance, anticipando le serie iconiche in cui lui stesso diventerà protagonista dei propri scatti.
Durante gli anni Ottanta, Fosso cominciò a sviluppare una ricerca più personale e sperimentale, muovendosi oltre la ritrattistica tradizionale per esplorare l’identità, la storia e il potere simbolico dell’immagine. L’influenza della cultura pop africana, dei movimenti politici post-coloniali e dei riferimenti visivi occidentali si intrecciò con la sua capacità tecnica, dando vita a un linguaggio fotografico originale, che unisce documentazione, teatralità e riflessione sull’identità culturale.
Linguaggio fotografico e innovazioni tecniche
Il linguaggio di Samuel Fosso è caratterizzato dalla sperimentazione con il ritratto e la performance, dove la fotografia diventa uno strumento per esplorare identità multiple e costruzioni culturali. Fosso combina abilità tecnica, capacità scenica e attenzione simbolica per trasformare ogni ritratto in un’opera carica di significato. La sua poetica si basa su auto-rappresentazioni elaborate, in cui il fotografo stesso interpreta diversi personaggi, sfidando le categorie convenzionali di identità, genere e ruolo sociale.
Dal punto di vista tecnico, Fosso utilizza prevalentemente fotocamere medio formato analogiche, sfruttando la qualità della pellicola per ottenere dettagli nitidi e profondità cromatica nelle immagini. Il controllo della luce è cruciale: Fosso predilige luci morbide e diffuse, in grado di modellare i volti e i corpi in maniera teatrale, esaltando la tridimensionalità e l’intensità emotiva dei soggetti. La gestione di sfondi e props è altrettanto sofisticata, spesso impiegando tessuti colorati, oggetti di scena e costumi elaborati per costruire contesti narrativi complessi.
Un elemento innovativo della sua pratica è il self-portrait come performance, anticipando tendenze della fotografia contemporanea che esplorano la costruzione dell’identità. Fosso utilizza specchi, travestimenti e pose teatrali per moltiplicare la sua presenza e creare narrazioni visive stratificate. Questa pratica richiede una padronanza tecnica avanzata: tempi di esposizione calibrati, controllo della profondità di campo e composizione rigorosa sono fondamentali per ottenere immagini coerenti e impattanti.
Fosso ha inoltre integrato riferimenti iconografici storici e culturali nella sua fotografia, ispirandosi a figure del cinema, della moda e della storia africana. Il risultato è un linguaggio visivo che fonde tradizione, contemporaneità e cultura globale, trasformando il ritratto in un medium di riflessione culturale e sociale. L’uso di colori saturi, contrasti modulati e dettagli scenici contribuisce a creare immagini che sono al contempo esteticamente sofisticate e cariche di significato.
La sequenza e l’editing dei fotolibri o delle serie espositive sono altrettanto fondamentali: Fosso cura con attenzione la progressione narrativa, costruendo connessioni tra immagini apparentemente autonome e generando un discorso coerente sull’identità, il potere e la memoria storica. Questa attenzione alla sequenza rende le sue opere non semplicemente ritratti singoli, ma narrazioni visive complesse, capaci di dialogare con lo spettatore su più livelli interpretativi.
Progetti e opere principali
Tra le opere più celebri di Samuel Fosso, spicca la serie “African Spirits” (anni Novanta), in cui l’artista esplora l’identità culturale africana attraverso ritratti altamente stilizzati. Ogni immagine è costruita come un ritratto performativo, in cui costumi, oggetti simbolici e pose deliberate creano una rappresentazione teatrale dell’identità africana contemporanea e storica. L’uso del colore, la composizione scenica e la qualità della stampa contribuiscono a un effetto visivo potente, che mescola memoria storica e fantasia performativa.
Un’altra serie iconica è “Autoportraits” (1975–oggi), in cui Fosso diventa soggetto delle proprie opere, interpretando ruoli multipli e trasformandosi in diversi personaggi. Questa pratica ha rivoluzionato il concetto di ritratto africano, introducendo l’idea di performance e autorialità all’interno della tradizione del ritratto fotografico. La serie è caratterizzata da una sofisticata manipolazione della luce, scelta di costumi e props, e una cura maniacale della composizione e del colore.
La serie “Dandy” (anni Duemila) è un esempio della sua riflessione sulle identità post-coloniali e sul ruolo della moda come simbolo di potere e resistenza culturale. Fosso costruisce ritratti di uomini e donne in abiti eleganti, spesso accompagnati da oggetti di lusso o simboli storici, creando un dialogo tra aspirazione personale, cultura globale e storia africana. La precisione tecnica e la cura del dettaglio rendono queste immagini opere d’arte visiva oltre che documenti culturali.
Fosso ha anche lavorato su progetti legati alla memoria storica e politica, come “History Revisited”, in cui riprende figure iconiche della storia africana, reinterpretandole attraverso la sua lente performativa. Ogni immagine diventa una riflessione sul passato coloniale, sulla memoria culturale e sulla costruzione dell’identità nazionale. La gestione della luce, la scelta dei materiali scenici e la composizione sono fondamentali per creare un equilibrio tra realtà storica e interpretazione artistica contemporanea.
Influenza, riconoscimenti e impatto culturale
Samuel Fosso è riconosciuto come uno dei fotografi africani più influenti della contemporaneità, grazie alla sua capacità di unire tecniche tradizionali del ritratto di studio con innovazioni performative e narrative. Le sue opere hanno avuto una risonanza internazionale, esposte in istituzioni come il Museum of Modern Art di New York, il Victoria and Albert Museum di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.
Fosso ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Prix Pictet, l’International Center of Photography Infinity Award, e menzioni speciali in festival di fotografia contemporanea. Il suo lavoro ha influenzato intere generazioni di fotografi africani e internazionali, stimolando riflessioni sull’identità, sulla rappresentazione e sull’uso della performance nel ritratto.
La sua innovazione tecnica e poetica consiste nel trasformare il ritratto tradizionale in uno strumento di auto-rappresentazione e narrazione culturale, creando immagini che dialogano con la storia, la politica e la memoria collettiva. L’uso del colore, la sequenza narrativa e la padronanza della luce hanno reso le sue opere un punto di riferimento fondamentale per la fotografia contemporanea e la rappresentazione dell’Africa post-coloniale.
Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.


